lunedì 23 giugno 2014

Brividi Assassini



Ognuno è quello che è per sempre. Anche l’andare del tempo non è che ci cambi più di tanto. Si smussa qualche asprezza, qualche angolo oscuro, ma è poca cosa. In un giorno qualunque, sul treno delle sette ci ero salito agguantando l’ultima corsa del turno di notte del pontone. Avevo attraversato prima dell’alba quel braccio di mare che separa le due sponde in compagnia di marinai che avevano l’aria stanca e assonnata e anche lievemente scocciata, come i suoi passeggeri, d’altronde. Una delle ultime occupazioni rimaste nell’area dello stretto di Messina, per non finire a fare l’emigrante, o diventare uno dei tanti rivenditori ambulanti sparsi per la città. Certo occorreva dedicarsi ore, giorni, mesi, anni, a leccare il culo all’armatore, o a quel politico di sinistra (!), che possiede le quote di maggioranza della società navale, per potere ottenere anche un posticino da mozzo. Ma dalle mie parti la differenza tra vivere bene e vivere male non è una questione di meriti e competenze, è una faccenda privata che dipende dalla magnanimità di queste persone. Un bacino di voti e clientelismo, usato a piacimento da queste famiglie, che potrebbero benissimo vivere in una telenovela sudamericana. Pezzi grossi che hanno fatto il bello e il cattivo tempo, a protezione dei loro enormi interessi, in una delle città più crudeli al mondo. Colpa della visuale egemonica che abbiamo al sud. Mai modificare lo stato delle cose, potrebbe essere una iattura e se gli effetti peggiorano la nostra esistenza fa niente. Vai a capire come marciano certe congegni nel cervello umano. 


Qualcosa però alla fine era cambiato il vecchio sgangherato e polveroso “Mystery Train”, l’espresso con cui avevo attraversato l’Italia di notte in cerca di lavoro, era stato sostituito da un convoglio signorile, ma anche scomodissimo per le mie gambe. Si viaggia, adesso, solo di giorno e con il vagone ristorante ed il servizio bar a disposizione. Anche se il caffè era cattivo, e il prosciutto nei panini rinsecchito, si poteva dire che ci eravamo evoluti. Seduto su quel treno sonnecchiavo e non sapevo se ce l’avevo ancora quel lavoro da commesso viaggiatore. Facevo parte di quell’umanità che quando si mette la giacca per uscire di casa si porta con sé un bel sorriso, pure se si è tristi e sconsolati, come un blues cantato da Skip James. Un lavoratore senza diritti, e senza tutele sociali. Uno che si doveva arrangiare come poteva. Reso invisibile da un sistema che, quando resti senza alcun incarico, non c’è nessuno che ti viene a cercare. Neanche per chiederti come stai.


                ”Il treno su cui viaggio è lungo sedici vagoni. Il treno su cui viaggio è lungo sedici vagoni. Beh, questo lungo treno nero porta la mia bambina e se ne è andato via” (Mystery Train).



Anche Jerry Lee Lewis nel 1959 fu lasciato da solo ad affondare. Mentre era in tour in Inghilterra, si venne a sapere che aveva sposato una sua cugina di tredici anni e fu accusato di incesto e corruzione. Ma quel matrimonio era perfettamente regolare nella cultura del sud, abituata ai matrimoni precoci e consanguinei. Lo scandalo, tuttavia, giunse anche in America e da quel momento in poi le radio non passeranno più i suoi dischi, le televisioni lo ignoreranno e il grande pubblico lo abbandonerà. Accadde nel periodo in cui Jerry si stava lasciando dietro le spalle l’eredità contadina con cui era cresciuto. Quel fragore improvviso farà sì che quando tornerà sulla scena la sua musica non sarà più quel misto di blues, gospel, boogie, western swing, country e jazz che suonava sin dal’età di quindici anni. Lo stesso Sam Phillips, il proprietario della Sun Records diceva che anche “se sei un nemico giurato del rock’n’roll, in Jerry Lee trovi qualcosa che ti interessa”. Scommetto l’ultimo soldo che ho che non c’è un imene intatto in questa stanza (Big Legend Woman), cantava ghignando il killer del rock’n’roll, scombinandosi i capelli e pestando i tasti del suo pianoforte. Era come avergli sparato un colpo in piena fronte a quella frotta di teen agers del ceto medio americano che comprava i dischi di rock’n’roll. Ragazzini che si eccitavano ascoltando canzoni come Breathless, o Great Balls Of Fire, con tutto quel dire e non dire sul sesso. Ma dov’è finito quel rock che parlava ai giovani e raccoglieva le loro urgenze? 


Dopo anni di dure lotte,  sembra un buon padre di famiglia, che non è convinto più di vivere nel desiderio di un eterna giovinezza. E non si reinventa con un nuovo maquillage, magari continuando a razziare a mani basse, lì dove è possibile trovare linfa vitale, suonando forte, ambiguo, sfuggente, e trasgressivo. Il rock’n’roll è musica irrispettosa, corrotta, dove è stato possibile far confluire tutto. Una zona franca che ha da sempre mescolato le carte, rigenerandosi. Un bastardo, depravato, privo di amore per le radici della sua stessa esistenza. Oggi, però, appare smorto, moralizzatosi, come fosse musica classica o per tradizionalisti con occhi stanchi e i visi rugosi. Altre volte gli era capitato di assopirsi, ma una nuova ondata di insolenti figli di puttana aveva scavalcato e spazzato via tutto, dando spazio a nuove sfide. Forse sarebbe utile che il rock’n’roll viaggiasse nuovamente senza mappe, selvaggio e incerto, ma soprattutto sprovvisto di navigatore. 


                Stacker Lee ha sparato a Billy The Lion per un cappello Stetson da cinque dollari. Questo uomo cattivo oh,il crudele Stacker Lee”(Traditional)



C’è ne sono a bizzeffe di Lee nella musica americana, tutti provenienti dal sud degli States. Un nome comune come Ciro, o Tano, nel meridione d’Italia. Gente fiera di appartenere all’ideologia sudista e anche di accettare i pregiudizi e gli insulti razzisti con cui sono appellati. John Lee Hooker, Billy Lee Riley, Moral Lee Boggs, Jeffrey Lee Pierce sono solo alcuni di quei musicisti. Stacker Lee, invece, è stato un bandito dentro una canzone, in una storia americana che parla di brutalità, sesso, odio, ma anche di libertà. Un ritratto del carattere della gente di colore del sud. Un uomo tosto come il diavolo che uccise Billy, perché fu così stupido da dirgli che stava barando. Gli sparò, come cantò Johnny Cash in Folsom Prison Blues, solo per vederlo morire. E Johnny, si sa, non ha mai detto bugie. La ragazza che mi sedeva di fronte leggeva una rivista per sole donne e ascoltava musica con l’auricolare. Profumava di Chanel n°5, e portava grandi occhiali neri da vista griffati. Di tanto in tanto, si toccava i capelli con la mano attorcigliandoseli tra le dita, e mi guardava di squincio. Era una di quelle sempre in ordine, lo si notava da come era vestita e dai suoi atteggiamenti. Siccome non avevo nulla da fare, mi chiesi fra me e me se mi si sarebbe drizzato l’uccello con una tipa così. Si è liberi quando si può vivere nella propria terra, e non quando si è costretti a fuggire. I migranti che arrivano su barconi fatiscenti sono uomini costretti a scappare perché qualcuno si sta semplicemente prendendo l’Africa, e lì non c’è li vuole più. I nuovi mercanti di uomini si stanno facendo solo dello spazio per poi potersi accomodare liberamente e finire di rubar loro la terra. La mafia europea paga milioni di euro affinché questi uomini e donne vengano accolti e tenuti a bada nel migliore dei modi. Lo devono fare sapere agli altri africani, che qui non va poi così male. C’è un nuovo schiavismo in atto che avanza nel silenzio più assordante. Che fa gelare il sangue nelle vene.


                “In piedi sulla forca la testa ben dritta. Lo uccisero alle dodici. Erano tutti felici di vederlo morire”.
 

Mississippi John Hurt diede l’epigrafe più spietata, ma anche la più verosimile, alla fine di Stacker Lee


Era pura energia, Jerry Lee Lewis, con quel suo pianoforte suonato in modo elementare, ma appariscente e acrobatico, che risentiva pesantemente dell’influenza della musica nera. Una volta gli diede fuoco per impedire a Chuck Berry di suonare dopo di lui. Un rock’n’roll che stordiva e che si tuffava contro ogni limite. Un boogie woogie scoccato e glissato con la mano sinistra del diavolo. Quando Sam Phillips lo scoprì, nella sua scuderia erano già arrivati Elvis, Carl Perkins, Johnny Cash, Roy Orbinson, Gene Vincent, Vincent Conway, Billy Lee Riley, Ma Jerry era davvero un’altra cosa rispetto a tutti gli altri. Uno che era riuscito a formare un suo personale linguaggio sonoro, una sua personalità ben distinta che lo differenziava dall’essere un mero imitatore di Presley.  “Dai baby qui c’è da scuotersi da cima a fondo, dai baby quello che fai va bene” (Whole Lot Of Shakin’ Goin’ On). La carriera di Jerry si spezza nel momento in cui il rock’n’roll è attraversato da una serie di disgrazie e lutti. Eddie Cochran muore nello stesso incidente in cui Gene Vincent resta invalido, Buddy Holly scompare in un sciagura aerea, Chuck Berry viene imprigionato, Elvis parte per il servizio militare. Il killer resta il solo durante gli anni sessanta a suonare con rabbia e passione quella musica del diavolo, peccaminosa che fa dannare l’anima. Io ho il diavolo dentro! Se non l’avessi, sarei un cristiano, blaterò un giorno ubriaco Jerry Lee, durante le registrazioni di alcune sessioni in studio alla Sun Record.


Avrei voluto essere in Messico, con un sombrero in testa a bere tequila ascoltando La pistola y el corazón dei Los Lobos. Ma la fortuna, come la sfortuna, mi aveva sempre evitato nei loro estremi, quindi restavo solo uno sfigato, che ce la metteva tutta per sopravvivere in questo mondo, ma è sempre più difficile di quanto si creda. Avevo aperto le finestre e il temporale aveva ripreso a brontolare dietro le montagne, mentre il vento di scirocco spazzava l’aria. Stiamo dando tutto per scontato, anche la nostra vita. Era sabato, quando la gente va a ballare e se la spassa. Ho messo un disco sul piatto, cosa che non facevo da tempo immemore. La musica ha preso ad strepitare. “Mi scuoti i nervi e mi fai ballare il cervello. Il tuo modo di amare fa impazzire la gente accidenti che emozione. Dio del cielo, grandi palle di fuoco (Great Balls of Fire). Non faceva freddo, guardai fuori la finestra e andai a riempirmi il bicchiere. Due giri di ritornello ed ero già sbronzo come una scimmia. Tutto finisce in niente, anche la giovinezza è finita lontana. Ma l’ho amata dal primo giorno che l’ho incontrata con quell’aria timida. Mi stavo facendo trascinare dalla corrente che non è un buon modo per andare lontani. Ma non mi aspettava nessuno. Ascoltavo del rock’n’roll mentre lì fuori era già un massacro. 


Bartolo Federico


giovedì 19 giugno 2014

Dannato Stasera Non Piangere



Il bar Cosimo all’ora di pranzo era pieno di impiegati, indaffarati a mangiare insalate, e qualche arancina al ragù. Vite ordinarie quelle, con le loro preoccupazioni e le proprie ansie. Persone normali, con progetti, speranze e probabilmente qualche sogno cucito chissà dove. Avevo cercato riparo dai miei silenzi, e dai miei blues, standomene assorto davanti a un bicchiere di vino rosso. Troppi punti deboli, troppe lacune si erano aperte dentro di me. Girai gli occhi e incrociai lo sguardo di una ragazza col seno grosso che si toccava i capelli. Lei mi guardò ammiccando con un piccolo sorriso. Non era brutta, ma di sicuro non era il mio tipo. Troppo muscolosa e con le spalle larghe per i miei gusti. Guardai attraverso il vetro del bar e, chissà perché, cercai quelle risposte che non arrivano mai. Un ragazzino con un cappello alla Mingus entrò ridendo. Capivo di non avere più risentimenti verso nessuno, ma di essere ancora in qualche modo vulnerabile, come quando ero giovane. La vita è fatta di incontri alle volte insignificanti, altre volte così devastanti che ti cambiano per sempre. E mi rividi spostarmi per quelle strade buie e silenziose, con i cartelli arrugginiti e sbattuti dal vento. Quelle strade abbandonate, circondate da immondizia e puzza di piscio, che ci si smarriva non appena svoltavi l’angolo. Alcuni di noi sono predestinati alla salvezza, altri alla dannazione. Dal pacchetto di sigarette tirai fuori una Benson &Hudges che strinsi tra le dita, ma non accesi.


  Avevo sempre cercato di fare del mio meglio. Tuttavia i giudizi che mi davo un tempo, mi sembravano meno spietati di quelli di adesso. In compenso non mi preoccupavo più di come andavano le cose. Mi incuriosivo solo dei miei continui cambiamenti. “Nessuno è innocente, nessuno. Ficcatelo bene in testa”. Senza motivo, mi erano tornate in mente le parole urlatemi da Gilda in quel pomeriggio da cani. Lo avevo imparato a mie spese che, quando le situazioni prendono una brutta piega, è inutile che uno cerchi di spiegare. Noi uomini, prendiamo ciò che ci fa più comodo. Siamo abituati ad usarci perché dopo un po' l’amore finisce e, in seguito, anche l’odio che nutriamo. Un altro esule entrò nel bar. Camminando di sbieco e ordinando una birra, si accomodò. Era una giornata di quelle che non si sa perché, ti senti scoglionato, annoiato, irritato, ma sapevo che avrei fatto bene a restarmene sobrio. “C’è un casino dappertutto” mormorò ad un tratto, l’uomo che si era seduto proprio dietro di me. “ci si sente come in prigione”, continuò. Ed era come se mi stesse leggendo nei pensieri. Mi girai lentamente e lo guardai per un lungo istante dritto negli occhi, come a volergli scrutare fin dentro l’anima. “Non lo so, e non è che m’importi molto” risposi, mentre un cellulare iniziò a suonare una musichetta del cazzo. Non avevo fame, né freddo, né sonno, niente. Non sentivo niente. Vidi il cielo annuvolarsi e mi chiesi fino a che punto dovevo precipitare, prima di fermarmi.


  Mi aggiravo per le strade portandomi appresso un oscurità così densa, che potevo tinteggiare le pareti di un palazzo. In quel silenzio, l’autoradio della macchina sparava raffiche di sax, tanto forti da impedirmi di sentire le mie stesse urla. Amavo il suono del sassofono, era come se ascoltassi il respiro profondo di certe anime dilaniate, che facevano musica nella tempesta. John Coltrane è una luce negli occhi, una sensazione fantastica, tremendamente rara. In The Dark You Can Love This Place mi ha sussurrato una notte distogliendo accuratamente lo sguardo, Barzin. Ho trattenuto le lacrime, per non farmi inondare fin dentro le orecchie, e capire quanto ero ridotto male. Gilda quando c’eravamo incontrati, mi aveva guardato da dietro il fumo di una sigaretta, e questo bastò per farmi perdere l’orientamento. Era come se una voce mi dicesse, che era lei che stavo cercando. Ma ora che c’è l’avevo di fronte, non sapevo che fare, e le dissi soltanto : ciao bambina, con una voce greve e lenta. E subito dopo iniziò a diluviare. E piovve per un bel pezzo. Poi  rimasi in silenzio, inquieto come un sospiro. Ma queste cose mi erano successe in un'altra vita. Come spesso accade i nostri destini si erano separati, e niente e nessuno avrebbe potuto farmi tornare sui miei passi. Ho canticchiato un blues mentre salivo le scale di casa, dove non mi aspettava più nessuno. Con gli occhi spalancati nella penombra, ho acceso lo stereo, fumando, e cercando di non farmi prendere dallo sconforto. Erano passati anni, secoli, mesi, giorni, ore, minuti, da quando ci eravamo lasciati, ma certe cose, non si erano ancora sbiadite. Il telefono gettato sul pavimento prese a suonare, lo guardai ma non risposi. Lei di sicuro non mi stava cercando. Ho acceso la lampada che faceva una luce fioca, per cercare nello scaffale un disco che non trovai di Blind Blake, uno dei padri fondatori del blues. Un viaggiatore misterioso di cui non si sa praticamente nulla. Di quest’uomo solitario è rimasta un'unica foto. Eppure negli anni venti era una star della musica. Suonava un blues tecnico e riusciva a tracciare con la sua chitarra un crossover ante litteram, che amalgamava lo stile ragtime, con il blues e il jazz. Anche il burbero reverendo Gary Davis lo omaggiò. Lui così avaro di complimenti verso gli altri musicisti. 



I morti hanno sempre gli occhi tristi. Anche Nick li aveva quando è spirato per un tumore all’esofago. Per come era fatto, avrebbe preferito di gran lunga una pallottola dritta in testa, che quell’animale dentro a divorarlo. Aveva appreso sin da subito di essere spacciato e di non avere via d’uscita. E non deve essere stato facile. Il diavolo poi ci mette sempre lo zampino e sembra che goda. Anche quando chiedi: quanto tempo mi resta dottore ? Lui sogghigna. Alla fine, all’ultimo istante, avrebbe voluto alzarsi da quel cazzo di letto che lo inchiodava e camminare, camminare. Prima di tirare le cuoia avrebbe voluto bestemmiare, imprecare. Andarsene in giro senza meta, come faceva quando cercava di raccattare i cocci della sua pazza vita. Ma si sentiva debole e stordito, ed aveva una paura fottuta. Siamo tutti strambi noi uomini. Mi alzai e mi versai un bicchiere di Chivas. Il whisky andò giù morbido. Mi ricordai di quando lei era seduta sul divano e sfogliava distrattamente una rivista. Aveva recuperato il pacchetto delle sigarette e si era accesa una merda di MS. A guardarla nel suo jeans attillato aveva un bel culo, ma anche delle belle tette. Per tutto il giorno aveva sapientemente evitato il mio sguardo. Forse era un modo per non farsi venire qualche rimorso. Suonai qualcosa con la chitarra per ritrovare il coraggio. Aveva due splendidi occhi ed eravamo diventati tutt’uno. Non c’era spazio per nient’altro. Lo dico adesso che non posso più ingannare nessuno, tantomeno me stesso. È stato questo che alla fine ci ha fregato. Avevo smesso di dare importanza ai suoi misteri, come lei ai miei. Non potevamo continuare ancora ad ingannarci. Me ne sono tornato nell’oscurità, come un blues greve di Mark Lanegan.


I light a lonely woman's cigarette. We start talkin' bout what we want to forget. Her life story and mine are the same. We both lost someone and only have ourselves to blame. But here I am again...(Misery And Gin-Merle Haggard)



   Le armi e i duri non mi sono mai piaciuti. Neanche i mercenari e certi sbirri. C’è gente che legge troppi libri, altri nemmeno uno. La vita alle volte è crudele, e si comporta come un romanzo da due soldi. Sarò un romantico, ma esiste un altro modo per stare su questa terra. Ne sono certo. In quello mio, non ci sono né vincitori, né vinti. Perché capita ad ognuno di noi che qualche porta si chiuda, e anche se questo ci lascia quel retrogusto amaro di nullità, si può sempre ricominciare, da qualche altra parte. Sempre. La cattiva stella prima o poi tramonta. Bisogna solo sapere aspettare. Certo ci vuole una infinita pazienza, ma ne vale la pena. L’ho appreso dal blues questo, che non vive nel mondo della luna. Pur con una gamba di legno Furry Lewis se ne andava in giro per il sud del Mississippi, aggregandosi al fianco di imbroglioni e truffatori, che seguivano le carovane dei minstrels e dei medicine show. Aveva perso la gamba in un incidente ferroviario, ma tutto questo non era riuscito a fermare la sua vivacità, la sua voglia di vivere. Suonò insieme a  Gus Cannon  e Will Shade, per le strade di Memphis, entrando anche a  far parte della Memphis Jug Band. Ma di musica non sempre si campa, e allora inizia a lavorare come spazzino, e lo farà per oltre quarant’anni. Per non gettare del tutto il suo talento, alla sera suona nei battelli a vapore che attraversano il grande fiume, e al mattino va a ripulire le  strade della sua città. Suonare a questo songster, gli ha reso più sopportabile la sua dura esistenza. L’ha fatto anche Night Moves con me. Una canzone che  conserva il sapore di tante cose che ho perso lungo il tragitto. Ho pensato a lei ascoltandola. Ai suoi seni, al suo desiderio, alle sue speranze, alla sua avidità. Me ne sono rimasto seduto sul divano, mentre fuori aveva preso a piovere. 


We weren't in love oh no far from it. We weren't searching for some pie in the sky summit. We were just young and restless and bored. Living by the sword. And we'd steal away every chance we could. To the backroom, the alley, the trusty woods. I used her she used me. But neither one cared. We were getting our share.(Bob Seger)


Ha piovuto per un bel pezzo. Mi sono fatto del caffè e fumato qualche sigaretta nella piccola cucina. Al lavoro l’indomani, ci sarei andato anche a costo di strascicarmi per strada a tentoni. È solo quando non hai più una cosa, che te ne accorgi di quanto era importante. Misi un disco di rock duro, grintoso, di quelli che sparano raffiche di chitarra a mitraglia. Tanto per stordirmi un po’. La mattina uscì presto di casa. Era un alba fresca e senza particolari pretese. Prima di andare via, ho lasciato tutte le luci dell’appartamento accese. Così da darmi la sensazione al mio rientro, di non essere solo. A quell’ora del mattino le strade erano deserte. Un barbone dormiva dentro l’ atrio del portone. Cercai di non disturbarlo. In strada camminavo veloce e con le mani infilate nella tasca della giacca. 

La Folie cantavano gli Starnglers nel 1981. Un autre endroit, une autre vie. Eh oui, c'est une autre histoire. Mais a qui tou raconter? Chez les ombres de la nuit? Au petit matin, au petit gris. Combien de crimes ont ete commis. Contre les mensonges et soi disant les lois du coeur. Combien sont la a cause de la folie. Parce qu'il ont la folie. Mia zia Marianne sentiva le voci, e vedeva cose inesistenti. Alle volte diceva che erano sul muri, altre sul pavimento, qualche volta non ti riconosceva nemmeno, perché eri tu la cosa strana. Se ne stava per ore seduta immobile sulla sedia. Ogni tanto rideva e si toccava i capelli, e si stringeva i seni, fino a farsi male. Beveva vino rosso a litri, e fumava all’inverosimile. Troppe notti difficili. Alle volte avevo paura, una paura tremenda, che potessi uccidermi. Ma forse c’era molto suggestione in me. Ogni tanto tornava normale e passavamo dei bei momenti. Poi anche quegli attimi svanirono, e la dovettero rinchiudere in un manicomio. 

John Trudell è un indiano Sioux. Quando venne nominato portavoce dell’American Indian Movement, si rese protagonista di un gesto di protesta contro le autorità americane, per le atrocità commesse nei confronti dei nativi americani. Sui gradini del J. Edgar Hoover Building di Washington bruciò la bandiera a stelle e strisce. Dodici ore più tardi, sua moglie, i suoi tre figli, e sua suocera, morirono in un incendio nella riserva di Paiute Shoshone in Nevada. La cosa resterà senza colpevoli, anche per il rifiuto dell’ FBI di indagare sul caso. John Trudell inizia a comporre poesie, e  nel 1985, quando incontra Jesse Ed Davis, un indiano Kiowa che suona con Clapton, Dylan, Lennon e Jackson Browne. le sue poesie diventano musica. AKA GRAFFITI MAN è un grido di dolore, un blues profondo, un vento di guerra. 

Ci sono cose che nessuno può uccidere. Hanno crocifisso gli uomini buoni, gli hanno strappato le unghie dei piedi, e delle mani. Gli hanno tolto la lingua di bocca. Poi li hanno sgozzati nella notte con un taglio preciso alla giugulare. Ma questi uomini continuano ad urlare. Puoi sentire le loro grida… li senti?.. li senti? … tra gli scrosci di pioggia? 


Il cuore degli uomini è la cosa più difficile da vedere. Dannato stasera non piangere.


Bartolo Federico














lunedì 16 giugno 2014

Scarabbocchio Ubriaco(sul treno di mezzanotte)



E’ una mania brutta e fredda quella con cui si corre per andare a vedere lo stesso spettacolo, leggere lo stesso libro, o ascoltare la stessa musica. Ho una paura fottuta di questa calca che galoppa impazzita per sottrarsi al panico di rimanere da sola, anche per un attimo in mezzo alla notte. E’ un mondo invaso da sogni pensati da altri, e infilati in fretta e furia nelle nostre tasche. Ho cercato di difendermi come ho potuto per non diventare anch’io gelido e volgare, conservando quella gentilezza, che mi fa sembrare le cose diverse. Ma ho finito per avere terrore anche del mio vicino di casa, che taglia l’erba nel giardinetto e chinandosi per levare la merda del cane, la scaglia di soppiatto dal mio lato. E’ di quelli come lui, con la faccia perbene, che non mi sono mai fidato. E c’è ne sono molti in giro che godono anche di fama popolare, e non si capisce che meriti abbiano, per averla ottenuta.


A parte i guai che ho per andare avanti in questa crisi meschina e assassina, perché mi chiedo, devo sorbirmi anche il fiorentino? Qualcuno prima o poi me lo dovrà spiegare. Mi sento accerchiato da uno che si crede un luminare del progresso. Uno che non ha nulla da dire, e mi fa sbadigliare senza respiro. Uno che è come le ragazzine, nato per far felici i ricchi. Me lo ritrovo sempre dappresso come la pubblicità dei pannolini. Accendo la tivù, esco per strada, sfoglio il giornale, e quel faccino con quel sorrisino, è lì che pare mi dica: “Amico lo sai come sono gl’italiani si bevono tutto, anche l’olio di ricino se occorre. Tra non molto diventerai uno dei nostri. E’ inutile che cerchi di scappare, di essere te stesso. Il tuo destino è segnato.Be My Baby


E’una di quelle notti in cui mi sento al capolinea, e non c’è la faccio neanche a imprecare. Meno male che è arrivata l’ora della partenza, e il treno è già in stazione. So per certo che la mia strada è dura e traballante, donne e whiskey, non salveranno la mia anima. Ma è un espediente come un altro, per non finire in quel girotondo d’anime. Un rimedio usato anche da Tommy McClennan uno di quei satanassi, che affollavano le strade polverose del Delta. I suoi blues energici e vigorosi che piacciano tanto anche a Bob Dylan, lo cantavano già. E di uno come Tommy io mi fido. 


Now every time I see you, babe, you're at some whiskey joint. Standin' 'round 'midst the crowd a-beggin' for one more half a pint'.Cause you's a whiskey-headed woman and you stay drunk all the time Baby, if you don't stop drinkin', little woman, I believe you gonna lose your mind (Spoken: Yeah) (Whiskey Head Woman- Tommy McClennan)


Ognuno di noi ha il suo gusto, altri invece il gusto non c’è l’hanno proprio. Ma a me non me ne frega nulla. Affari loro. Sono seduto accanto al finestrino del treno e vedo un sacco di cose passarmi sotto gli occhi. Ma sono così tante, che ho difficoltà a memorizzarle tutte insieme. Così alla fine è come se non vedessi nulla. Non mi sono mai piaciuti quei dischi che provano a farmi sentire giovane, perché non lo sono più. E poi che significa sentirsi giovane. Una volta durante questi viaggi, qualcuno con la erre moscia, mi consigliò di leggere un libro di quelli famosi che fanno molto figo. Quelli che scrive una come la De Gregorio. Dopo un po’ che leggevo smisi, perché non ci avevo capito nulla. Solo una serie di frasi e parole ad effetto, come certi dischi. Una bella confezione, un brano accattivante, un ottima recensione del giornalista di grido, e il pubblico crede di aver sentito qualcosa di nuovo, di grande. Ed allora si alza in piedi e grida nuovamente al miracolo. Questo è un genio, uno che riesce a scuoterti, a farti entrare la musica nel sangue. E il giochino a quel punto è bello e riuscito. Ma quando una cosa è brutta, resta brutta per sempre, e non gli si può estrarre nulla di buono. Back Back Train è una canzone di Fred Mc Dowell ed è pura magia. Ti fa sentire fin dentro le ossa quell’angoscia di sentirsi soli, e la disperazione di percorrere una strada sperduta.


"Well I look way down that lonesome road, Well I look way down that lonesome road, Way way down, Way way down, Way way down that lonesome road. I know that back back train will get'cha home. Back back train will get'cha home. Back back train. Back back train. Back back train will get'cha home... yeah"


Quando ero ragazzo ci andavo spesso alla stazione per vedere i treni partire. Mi accomodavo sul sedile di marmo del binario sette, accendevo una sigaretta, e aspettavo che il convoglio se ne andasse. Allora per gente come me era l’unico mezzo di trasporto con cui potevi arrivare al nord, o andare all’estero. Gli scompartimenti erano scomodi, e si dormiva in otto sui sedili. Il viaggio tra ritardi e vari guasti che puntualmente si verificavano lungo il percorso, era faticoso e snervante. Ma la gente resisteva con pazienza, e senza mai perdere il controllo della situazione. Certo c’era anche chi piangeva, ma solo quando pensava che nessuno lo guardasse. Su quei vecchi treni della notte, si giocava a carte, si scherzava, e si rideva a crepapelle. Anche se era un riso amaro che risuonava nei vagoni. Se poi per un attimo chiudevi gli occhi, ti sembrava di essere alla festa del patrono, con tutta quella baldoria, e quelle storie incredibili raccontate nel buio, da uomini timidi, pallidi e sonnolenti, che sparivano dalla loro terra, insieme alle loro ombre. Quando nel mezzo della notte reclinavano il capo per addormentarsi, onde fredde gli ritagliavano il cuore. Era giunta puntuale quella dannata paura di morire, ed essere seppelliti lontano da casa. Conosco un sacco di canzoni che parlano di treni una delle mie preferite è “Midnight Train” del Johnny Burnette Trio


I left my gal sad and lonely, left her standing in the rain. I went down to the railroad, I caught myself a midnight train. I beat my way into Texas, landed in a gambling town. I got myself into trouble, I shot the county sheriff down Oh Lord, I shot the county sheriff down. They put the handcuffs on me, tied me with a ball and chain


La vita non guarda in faccia nessuno. Bianchi, neri gialli, arancioni. Nessuno. Rock-A-Billy Boogie. Il treno continua ad oscillare maledettamente. Ma ad un certo punto uno ne ha abbastanza di rivoltarsi nella merda e di starsene con le sue ombre. Allora  si cerca di ritrovare il bandolo della matassa. Con la pioggia o con il sole, si tira avanti alla meno peggio. Ma è a questo punto, che ci si sente belli e fregati. L’altra sera prima di partire, ho rivisto Gene Vincent cantare “Roll Over Beethoven. 

Con quell’ammasso di capelli sulla testa, e gli occhi persi nel vuoto, traballava di passione aggrappandosi al microfono. Un vero rocker duro e proletario Gene, un cane sciolto del rock’n’roll, che cantava con voce sofferta e sincera. Ed è per questo che non ha avuto fortuna e riconoscimenti. Non bisogna vergognarsi d’invecchiare anche se il cervello è un tiranno e non si può giocare troppo con lui. Quel pomeriggio me ne sono stato seduto sul fondo della mia bottiglia ad ascoltare i miei tormenti, con i pantaloni slacciati, e la camicia aperta, come fossi Nick Cave. Dopo ho acceso la radio, ma siccome c’era solo musica di merda l’ho richiusa ed ho messo un disco di Carl Perkins. Quel ragazzo che aveva mescolato il blues dentro la musica dei bianchi, e cantato di non calpestargli le scarpe di camoscio blu. Uno dei padri più facilmente dimenticati del rock’n’roll.Well, you can knock me down, step in my face. Slander my name all over the place. Do anything that you want to do. But uh-uh baby, lay off of my shoes.”


Nell’oscurità continuo a parlarmi. Rivedo una luce stinta, una bottiglia di whisky, uno specchio, e una pila di dischi. E’ una di quelle feste tra ragazzi e ragazze, che ballano e ascoltano il rock’n’roll col volume a palla. La sua energia selvaggia sgorga calda e sensuale dentro di noi. Anna si alza dalla poltroncina, mette un 45 giri di Johnny Ace sul piatto e m’invita a ballare “Cross My Heart”. Ci stringiamo nel buio strofinandoci l’uno con l’altro. Ma quasi subito sono costretto a distaccarmi dal suo corpo, per non fargli sentire la mia attrezzatura. Patti Smith scrisse: ”Johnny Ace era eccezionale. Venne all’est dal Texas per terminare “Just A Dream”,e gli arrangiamenti di “Plending My Love. Tutte le ragazze si aggiustavano le calze quando Johnny arrivava in città. Ragazze bianche. Non c’erano ragazze nere negli anni cinquanta. Immagini di code di cavallo. Ragazze con foulard di chiffon legati stretti intorno alla gola calda e vellutata. E Johnny Ace cantava per loro. Finché non si distrusse con le sue stesse mani. Un Natale il lugubre e vellutato Sinatra se ne stette un po’ di più sul palcoscenico. Ace stava suonando “Solitaire. Poi prese una calibro 45 dal taschino dello smoking, fece girare il tamburo come nella sua canzone più famosa e si bruciò le cervellaJohnny Ace si sparò alla tempia, mentre giocava alla roulette russa nel camerino dello Houston’s City Auditorium, la notte di Natale del 1954.


"Well I've led an evil life, so they say. But I'll out run the devil on judgement day, I said Move, hot-rod, move man!.Move, hot-rod, move man!. Move hot-rod, move me on down the the line, oh yeah! Well me and the devil, at a stop light. He started rollin', I was out of sight, I said Move, hot-rod, move man!. Move, hot-rod, move man!.Move hot-rod, move me on down the the line, oh yeah!"(Race Whit The Devil-Gene Vincent)



Volevo spedire il libro che ho scribacchiato a un editore, ma poi ho desistito. Tanto so che se non sei di quella parte politica, non serve a nulla. Peggio per me. Sono in ogni caso contento del supporto che ho ricevuto da tutti quei ragazzi liberi, che si sono spesi nelle loro pagine personali, con passione e amore. Nel tempo ho imparato che se non lecchi nel posto giusto, le cose non filano mai lisce. Dopotutto a chi vuoi che gl’importi della notte, delle pene, dei poveri e del blues? Di scrittori bravi e che vendono, è pieno zeppo il mondo. E gli editori li preferiscono a uno sfigato come tanti. Provate a dargli torto. E’ come una ferita triste questa cosa, come la fine di ogni speranza. Ma è la verità e nessuno può farci niente. Così sia. Il treno si muove incurvandosi sulle rotaie. La mia merda me la sono sempre levata da solo, e non mi è mai piaciuto infilarmi in quei luoghi con migliaia di persone. La folla mi intimorisce, e i riti collettivi non fanno al caso mio. Ho un mio modo di vivere, che mi fa restare inquieto e ribelle, come il rock’n’roll degli anni cinquanta. Che poi è la maniera con cui mi sono sempre ficcato nei casini, e pagato a caro prezzo tutto quanto ho fatto. Un perdente alla Montgomery Cliff, a cui quei bastardi dei Clash hanno dedicato una canzone, The Right Profile in London Calling. Ma chi non usa trucchi lo sa bene che gli fanno la pelle, e lo sbattono fuori dappertutto. Non è una bella consolazione. Ma va così in questo mondo. Anche per i libri.


Si formano strane alleanze tra gli uomini per sopravvivere in un ambiente ostile. E ci vuole anche molto tempo per riabituarsi al silenzio. Durante il viaggio alle volte si sente il bisogno di una pausa. Il motivo è che quando si è soli, si è costretti a guardare in faccia le cose, e allora oltre ad affilarci la vista, ci si stanca anche della nostra crudeltà. Ma noi uomini non siamo bravi come la natura ad eliminare il superfluo, in modo che quello che resta diventi straordinario.
 

Il 1956 è stato l’anno di “Be Bop A Lula” di Gene Vincent, di “Blue Suede Shoes” di Carl Perkins,di “Long Tall Sally” di Little Richard,di “Roll Over Beethoven” di Chuck Berry, di “Love Me Tender”, “Don’t Be Cruel”, “Hound Dog” e “Heartbreak Hotel”di Elvis.  “Rock Around The Clock” fu incisa il dodici aprile del 1954, da Bill Haley & His Comets e raggiunse il successo, solo quando fu inserita nella colonna sonora nel 1956 di Blackboard Jungle (Il Seme della Violenza) un film interpretato da Glen Ford, che registrò una presenza di giovani enorme, registrando anche degli incidenti davanti ai cinema. Cosa mai accaduta prima di allora. Bill Haley era una figura troppo paterna per sperare di agganciare il malcontento di quei ragazzi, ma fu lui che schiuse la porta. “Rock Around The Clock” è il più celebre brano di rock’n’roll, ed è anche il suo atto ufficiale di nascita. Tre mesi dopo il cinque luglio 1954, Elvis registrò “That’All Right Mama”, e tutto cambiò per sempre. 


Non vedo l’ora che arrivi l’estate per ondeggiare nel vento caldo. Mi sono alzato dal mio posto e sbandando come un ubriaco, sono andato alla toilette. Non ho di che lamentarmi penso. Tutto sommato sono ancora integro, anche se sperduto. Ramblin' Jeffrey Lee Pierce incise nel 1992, un pugno di canzoni insieme a Cypress Grove, e Willie Love. La fragilità del suo cuore che sapeva piangere e tenere il tempo, fu espressa suonando un blues che pescava direttamente nella grande foce del Mississippi. "Oh, the night is black with rain. I must leave, leave your town Oh God, you'll hear me cry Why did you change? Is there a stranger in my heart."( Stranger In My Heart) Si era smarrito lungo la strada Ramblin' Lee come capita a molti di noi. La sua vita sgretolata si stava spegnendo, e fu così che alla prima stazione ferroviaria balzò su quel solitario treno di mezzanotte, e raggiunse il crocicchio e agguantò quel pathos antico, che solo i musicisti che avevano scorticato le strade del Delta possedevano. Ma chi meglio di lui sapeva che il blues non è un sogno, ma la dura realtà. 


Lonesome train, on a lonesome track. I'm going away, ain't coming back. I'm going somewhere, far from my baby. On a lonesome train, on a lonesome track. Lonesome train, on a lonesome track. Got all my troubles, in one big pack. My baby left me, so sad and lonely. On a lonesome train, on a lonesome track. (Lonesome Train - Johnny Burnette &the Rock & Roll Trio)



Bartolo Federico