E’ una mania brutta e fredda quella con
cui si corre per andare a vedere lo stesso spettacolo, leggere lo stesso libro,
o ascoltare la stessa musica. Ho una paura fottuta di questa calca che galoppa
impazzita per sottrarsi al panico di rimanere da sola, anche per un attimo in
mezzo alla notte. E’ un mondo invaso da sogni pensati da altri, e infilati in
fretta e furia nelle nostre tasche. Ho cercato di difendermi come ho potuto per
non diventare anch’io gelido e volgare, conservando quella gentilezza, che mi
fa sembrare le cose diverse. Ma ho finito per avere terrore anche del mio
vicino di casa, che taglia l’erba nel giardinetto e chinandosi per levare la
merda del cane, la scaglia di soppiatto dal mio lato. E’ di quelli come lui,
con la faccia perbene, che non mi sono mai fidato. E c’è ne sono molti in giro
che godono anche di fama popolare, e non si capisce che meriti abbiano, per
averla ottenuta.
A parte i
guai che ho per andare avanti in questa crisi meschina e assassina, perché mi
chiedo, devo sorbirmi anche il fiorentino? Qualcuno prima o poi me lo dovrà
spiegare. Mi sento accerchiato da uno che si crede un luminare del progresso.
Uno che non ha nulla da dire, e mi fa sbadigliare senza respiro. Uno che è come
le ragazzine, nato per far felici i ricchi. Me lo ritrovo sempre dappresso come
la pubblicità dei pannolini. Accendo la tivù, esco per strada, sfoglio il
giornale, e quel faccino con quel sorrisino, è lì che pare mi dica: “Amico lo sai come sono gl’italiani si bevono
tutto, anche l’olio di ricino se occorre. Tra non molto diventerai uno dei
nostri. E’ inutile che cerchi di scappare, di essere te stesso. Il tuo destino
è segnato. “Be My Baby”.
E’una di quelle notti in cui mi sento al
capolinea, e non c’è la faccio neanche a imprecare. Meno male che è arrivata
l’ora della partenza, e il treno è già in stazione. So per certo che la mia
strada è dura e traballante, donne e whiskey, non salveranno la mia anima. Ma è
un espediente come un altro, per non finire in quel girotondo d’anime. Un rimedio
usato anche da Tommy
McClennan uno di quei satanassi, che affollavano le
strade polverose del Delta. I suoi blues energici e vigorosi che piacciano
tanto anche a Bob
Dylan,
lo cantavano già. E di uno
come Tommy io mi fido.
“Now every time I see you, babe, you're
at some whiskey joint. Standin' 'round 'midst the crowd a-beggin' for one more
half a pint'.Cause you's a whiskey-headed woman and you stay drunk all the time
Baby, if you don't stop drinkin', little woman, I believe you gonna lose your
mind (Spoken: Yeah)
(Whiskey Head Woman- Tommy McClennan)
Ognuno di noi ha il suo gusto, altri invece il
gusto non c’è l’hanno proprio. Ma a me non me ne frega nulla. Affari loro. Sono
seduto accanto al finestrino del treno e vedo un sacco di cose passarmi sotto
gli occhi. Ma sono così tante, che ho difficoltà a memorizzarle tutte insieme.
Così alla fine è come se non vedessi nulla. Non mi sono mai piaciuti quei
dischi che provano a farmi sentire giovane, perché non lo sono più. E poi che
significa sentirsi giovane. Una volta durante questi viaggi, qualcuno con la
erre moscia, mi consigliò di leggere un libro di quelli famosi che fanno molto
figo. Quelli che scrive una come la De Gregorio. Dopo un po’ che leggevo
smisi, perché non ci avevo capito nulla. Solo una serie di frasi e parole ad
effetto, come certi dischi. Una bella confezione, un brano accattivante, un
ottima recensione del giornalista di grido, e il pubblico crede di aver sentito
qualcosa di nuovo, di grande. Ed allora si alza in piedi e grida nuovamente al
miracolo. Questo è un genio, uno che riesce a scuoterti, a farti entrare la
musica nel sangue. E il giochino a quel punto è bello e riuscito. Ma quando una
cosa è brutta, resta brutta per sempre, e non gli si può estrarre nulla di
buono. Back Back Train è una canzone di Fred Mc Dowell ed è pura magia. Ti fa
sentire fin dentro le ossa quell’angoscia di sentirsi soli, e la disperazione
di percorrere una strada sperduta.
"Well I look way down that lonesome road, Well I
look way down that lonesome road, Way way down, Way way down, Way way down that
lonesome road. I know that back back train will get'cha home. Back back train
will get'cha home. Back back train. Back back train. Back back train will
get'cha home... yeah"
Quando ero ragazzo
ci andavo spesso alla stazione per vedere i treni partire. Mi accomodavo sul
sedile di marmo del binario sette, accendevo una sigaretta, e aspettavo che il
convoglio se ne andasse. Allora per gente come me era l’unico mezzo di
trasporto con cui potevi arrivare al nord, o andare all’estero. Gli
scompartimenti erano scomodi, e si dormiva in otto sui sedili. Il viaggio tra
ritardi e vari guasti che puntualmente si verificavano lungo il percorso, era
faticoso e snervante. Ma la gente resisteva con pazienza, e senza mai perdere
il controllo della situazione. Certo c’era anche chi piangeva, ma solo quando
pensava che nessuno lo guardasse. Su quei vecchi treni della notte, si giocava
a carte, si scherzava, e si rideva a crepapelle. Anche se
era un riso amaro che risuonava nei vagoni.
Se poi per un attimo chiudevi gli
occhi, ti sembrava di essere alla festa del patrono, con tutta quella baldoria,
e quelle storie incredibili raccontate nel buio, da uomini timidi, pallidi e
sonnolenti, che sparivano dalla loro terra, insieme alle loro ombre. Quando nel mezzo
della notte reclinavano il capo per addormentarsi, onde fredde gli ritagliavano
il cuore. Era giunta puntuale quella dannata paura di morire, ed essere
seppelliti lontano da casa. Conosco
un sacco di canzoni che parlano di treni una delle mie preferite è “Midnight
Train” del Johnny Burnette Trio.
“I left my gal sad and lonely, left her standing
in the rain. I went down to the railroad, I caught myself a midnight train. I
beat my way into Texas, landed in a gambling town. I got myself into trouble, I
shot the county sheriff down Oh Lord, I shot the county sheriff down. They put
the handcuffs on me, tied me with a ball and chain”
La vita non
guarda in faccia nessuno. Bianchi, neri gialli, arancioni. Nessuno. Rock-A-Billy Boogie. Il
treno continua ad oscillare maledettamente.
Ma ad un certo punto uno ne ha
abbastanza di rivoltarsi nella merda e di starsene con le sue ombre. Allora
si cerca di ritrovare il bandolo della matassa. Con
la pioggia o con il sole, si tira avanti alla meno peggio. Ma è a questo punto,
che ci si sente belli e fregati. L’altra sera prima di partire, ho rivisto Gene
Vincent cantare “Roll Over Beethoven”.
Con
quell’ammasso di capelli sulla testa, e gli occhi persi nel vuoto, traballava
di passione aggrappandosi al microfono. Un vero rocker duro e proletario Gene,
un cane sciolto del rock’n’roll, che cantava con voce sofferta e sincera. Ed è
per questo che non ha avuto fortuna e riconoscimenti. Non bisogna vergognarsi
d’invecchiare anche se il cervello è un tiranno e non si può giocare troppo con
lui. Quel pomeriggio me ne sono stato seduto sul fondo della mia bottiglia ad
ascoltare i miei tormenti, con i pantaloni slacciati, e la camicia aperta, come
fossi Nick Cave. Dopo ho acceso la radio, ma siccome c’era
solo musica di merda l’ho richiusa ed ho messo un disco di Carl Perkins. Quel
ragazzo che aveva mescolato il blues dentro la musica dei bianchi, e cantato di
non calpestargli le scarpe di camoscio blu. Uno dei padri più
facilmente dimenticati del rock’n’roll. “Well, you
can knock me down, step in my face. Slander my name all over the place. Do
anything that you want to do. But uh-uh baby, lay off of my shoes.”
Nell’oscurità
continuo a parlarmi. Rivedo una luce stinta, una bottiglia di whisky, uno
specchio, e una pila di dischi. E’ una di quelle feste tra ragazzi e ragazze,
che ballano e ascoltano il rock’n’roll col volume a palla. La sua energia
selvaggia sgorga calda e sensuale dentro di noi. Anna si alza dalla
poltroncina, mette un 45 giri di Johnny Ace sul piatto e m’invita a
ballare “Cross My Heart”. Ci stringiamo nel buio strofinandoci l’uno con
l’altro. Ma quasi subito sono costretto a distaccarmi dal suo corpo, per non
fargli sentire la mia attrezzatura.
Patti
Smith
scrisse: ”Johnny Ace era eccezionale. Venne all’est dal Texas
per terminare “Just
A Dream”,e gli arrangiamenti di
“Plending My Love”. Tutte le ragazze si
aggiustavano le calze quando Johnny arrivava in città. Ragazze bianche. Non
c’erano ragazze nere negli anni cinquanta. Immagini di code di cavallo. Ragazze
con foulard di chiffon legati stretti intorno alla gola calda e vellutata. E
Johnny Ace cantava per loro. Finché non si distrusse con le sue stesse mani. Un
Natale il lugubre e vellutato Sinatra se ne stette un po’ di più sul
palcoscenico. Ace stava suonando “Solitaire”. Poi prese una calibro
45 dal taschino dello smoking, fece girare il tamburo come nella sua canzone
più famosa e si bruciò le cervella” Johnny Ace si sparò alla tempia, mentre giocava alla roulette russa
nel camerino dello Houston’s City Auditorium, la notte di Natale del 1954.
"Well I've led an evil life, so they say. But
I'll out run the devil on judgement day, I said Move, hot-rod, move man!.Move,
hot-rod, move man!. Move hot-rod, move me on down the the line, oh yeah! Well
me and the devil, at a stop light. He started rollin', I was out of sight, I
said Move, hot-rod, move man!. Move, hot-rod, move man!.Move hot-rod, move me
on down the the line, oh yeah!"(Race
Whit The Devil-Gene Vincent)
Volevo
spedire il libro che ho scribacchiato a un editore, ma poi ho desistito. Tanto
so che se non sei di quella parte politica, non serve a nulla. Peggio
per me. Sono in ogni caso contento del supporto che ho ricevuto da tutti quei
ragazzi liberi, che si sono spesi nelle loro pagine personali, con passione e
amore. Nel tempo ho imparato che se non lecchi nel posto giusto, le cose non
filano mai lisce. Dopotutto a chi vuoi che gl’importi della notte, delle pene,
dei poveri e del blues? Di scrittori bravi e che vendono, è pieno zeppo il
mondo. E gli editori li preferiscono a uno sfigato come tanti. Provate a dargli
torto. E’ come una ferita triste questa cosa, come la fine di ogni speranza. Ma
è la verità e nessuno può farci niente. Così sia. Il treno si muove
incurvandosi sulle rotaie. La mia merda me la sono sempre levata da solo, e non
mi è mai piaciuto infilarmi in quei luoghi con migliaia di persone. La folla mi
intimorisce, e i riti collettivi non fanno al caso mio. Ho un mio modo di
vivere, che mi fa restare inquieto e ribelle, come il rock’n’roll degli anni
cinquanta. Che poi è la maniera con cui mi sono sempre ficcato nei casini, e
pagato a caro prezzo tutto quanto ho fatto. Un perdente alla Montgomery
Cliff, a cui quei bastardi dei Clash hanno dedicato una canzone, “The Right
Profile” in London Calling. Ma chi non usa trucchi lo sa bene che gli fanno
la pelle, e lo sbattono fuori dappertutto. Non è una bella consolazione. Ma va
così in questo mondo. Anche per i libri.
Si formano strane alleanze
tra gli uomini per sopravvivere in un ambiente ostile. E ci vuole anche molto
tempo per riabituarsi al silenzio. Durante il viaggio alle volte si sente il
bisogno di una pausa. Il motivo è che quando si è soli, si è costretti a
guardare in faccia le cose, e allora oltre ad affilarci la vista, ci si stanca
anche della nostra crudeltà. Ma noi uomini non siamo bravi come la natura ad
eliminare il superfluo, in modo che quello che resta diventi straordinario.
Il 1956
è stato l’anno di “Be Bop A Lula” di Gene Vincent, di “Blue
Suede Shoes” di Carl Perkins,di “Long Tall Sally” di Little
Richard,di “Roll Over Beethoven” di Chuck Berry, di “Love
Me Tender”, “Don’t Be Cruel”, “Hound Dog” e “Heartbreak
Hotel”di Elvis. “Rock Around The Clock” fu incisa il
dodici aprile del 1954, da Bill Haley & His Comets e
raggiunse il successo, solo quando fu inserita nella colonna sonora nel 1956 di
Blackboard Jungle (Il Seme della Violenza) un film interpretato
da Glen Ford, che registrò una presenza di giovani enorme, registrando
anche degli incidenti davanti ai cinema. Cosa mai accaduta prima di allora. Bill
Haley era una figura troppo paterna per sperare di agganciare il
malcontento di quei ragazzi, ma fu lui che schiuse la porta. “Rock Around
The Clock” è il più celebre brano di rock’n’roll, ed è anche il suo
atto ufficiale di nascita. Tre mesi dopo il cinque luglio 1954, Elvis
registrò “That’All Right Mama”, e tutto cambiò per sempre.
Non vedo l’ora
che arrivi l’estate per ondeggiare nel vento caldo. Mi sono alzato dal mio posto
e sbandando come un ubriaco, sono andato alla toilette. Non ho di che
lamentarmi penso. Tutto sommato sono ancora integro, anche se sperduto. Ramblin'
Jeffrey Lee Pierce incise nel 1992, un pugno di canzoni insieme a Cypress
Grove, e Willie Love. La fragilità del suo cuore che sapeva piangere
e tenere il tempo, fu espressa suonando un blues che pescava direttamente nella
grande foce del Mississippi.
"Oh, the night is black with
rain. I must leave, leave your town Oh God, you'll hear me cry Why did you
change? Is there a stranger in my heart."( Stranger In My Heart) Si
era smarrito lungo la strada Ramblin' Lee come capita a molti di noi. La
sua vita sgretolata si stava spegnendo, e fu così che alla prima stazione
ferroviaria balzò su quel solitario treno di mezzanotte, e raggiunse il
crocicchio e agguantò quel pathos antico, che solo i musicisti che avevano
scorticato le strade del Delta possedevano. Ma chi meglio di lui sapeva che il
blues non è un sogno, ma la dura realtà.
Lonesome train, on a lonesome track. I'm going away,
ain't coming back. I'm going somewhere, far from my baby. On a lonesome train,
on a lonesome track. Lonesome train, on a lonesome track. Got all my troubles,
in one big pack. My baby left me, so sad and lonely. On a lonesome train, on a
lonesome track. (Lonesome Train - Johnny Burnette &the
Rock & Roll Trio)
Bartolo
Federico
Sto imparando a conoscere il tuo blog un po’ meglio. E’ bella l’idea di accostare a un pensiero, a una sensazione, a un’intuizione, un brano musicale o un aneddoto. Sull’editoria e sul fiorentino, non posso che darti ragione. Due tristi realtà.
RispondiEliminaSto solo cercando di parlare di musica, pensando che chi mi legge, sia un neofita è sconosca questi artisti. M'illudo che magari gli si accenda la curiosità di andare a sentire. . ma non so se va proprio cosi'. ciao e grazie per la tua presenza.
RispondiEliminaPrendersi un attimo e leggere i tuoi scritti si rivela sempre una esperienza che mi arricchisce un po', per la tua scrittura, per il tuo modo di intrecciare la musica con l'attualità per il tuo tessere trame che attraversano tempi e situazioni.
RispondiElimina...sì è sempre bello leggere i tuoi scritti....mi danno una mano a uscire dall' illogico che mi circonda nella maggior parte della giornata...sopratutto al lavoro...
RispondiElimina...inoltre mi fanno conoscere tanti artisti che nn sapevo dell'esistenza...
Mi sono commosso. Grazie a voi per leggermi
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