Intanto che la radio strimpellava
una canzone, fumavo standomene seduto con i piedi appoggiati sul cassetto più
basso della scrivania. Aspirai
profondamente e tirai fuori il fumo, facendogli fare le nuvolette indiane. Mi
sentivo come anchilosato su quella sedia, ma non avevo altro da fare. Girai
lo sguardo nella stanza, toccandomi la gamba intorpidita. Sul divano di pelle ormai
scrostato, c’era appoggiata la mia Gibson J45. Sulla parete rivestita con carta
da parati a fiori rosa, erano appese delle foto in bianco e nero che ritraevano
la mia famiglia al gran completo. Spensi la radio e con uno scatto repentino mi
alzai, restando fermo in piedi. Lo avevo imparato nel corso del tempo, che solo
certi uomini ottengono quello che vogliono. E mi ricordai di come avevo immaginavo
che sarebbe stato il mio mondo. Di come avevo sognato che mi sarebbero andate
le cose. Ma alla fine tutto era rimasto solo nei miei deliri. Niente di
particolare.
Syd Barrett era un
musicista che sconfinava in territori inconsueti. Un tipo fuori dal coro, che però
sapeva guardarsi dentro con onestà. Disegnava ombre con la musica, e fu il
genio creativo del primo album dei Pink
Floyd. Tutti però credevano che fosse solo un pazzo, e anche tonto. The Piper At The Gates Of Dawn vide la
luce nel 1967, ed è un disco ripudiato da tutti quei fan audiofili dei Pink Floyd appassionati di
dischi come Dark Side Of The Moon,
o Wish You Were Here. Colori acidi e rumori, immagini, campanelli, sveglie a cucù. Un flusso di sensazioni che
servivano per aprire le porte della percezione. Musica che andava oltre lo
specchio. E’ in questi solchi che si è consumata una generazione di cantautori, che hanno colto il lato poetico e visionario, di un viaggiatore dell’anima. Robin Hitchcock fra tutti. Spensi la
sigaretta schiacciandola nel posacenere. Un'ombra furtiva si accartocciò sul
divano e s’infilò nella buca della chitarra. Mi versai una tazza di caffè dal
thermos, e mi rimisi a sedere. Non avevo mai pensato che Syd fosse pazzo. No.
Niente affatto.
Lucifer
Sam, gatto siamese siede sempre al tuo fianco Sempre al tuo fianco Quel gatto è
qualcosa che non so spiegare Jennifer Gentle sei la strega Tu sei il lato
sinistro Lui è il lato destro Oh, no Quel gatto è qualcosa che non so spiegare.(Lucifer Sam)
Lo uccisero le cattive abitudini a Lester Bangs, un figlio di puttana che scriveva di musica. Un critico scomodo, polemico,
e controcorrente, per la grande industria del rock degli anni settanta. Uno che
voleva emulare fin troppo le cattive abitudini di Lou Reed. “Il più grande
bastardo autodistruttivo che conosceva”. Innamorato com’era del rock’n’roll, incise anche un disco amatoriale nel 1981 a nome di Lester Bangs and the Delinquents. Morì nel 1982 a soli trentatre
anni, per un overdose di Valium e Darvon, mentre ascoltava Dare degli Human League.
Certo che fu davvero sfigato a crepare accompagnato dalla musica di quell’album,
che suonava del pop elettronico
commerciale. Se solo lo avesse saputo, si sarebbe ascoltato Rock’N’Roll Animal.
Quando mi era mancato il lavoro avevo cominciato ad arrangiarmi con i risparmi che avevo raccolto. Ma ben
presto mi ritrovai con le spalle al muro, e fui costretto a tornare da mia
madre nella casa che mio padre le aveva lasciato. All’inizio la nostra
convivenza fu alquanto difficile. Poi quando smussammo certe asperità, le cose presero
ad andare molto meglio. Per non sentirmi troppo di peso facevo la spesa, il bucato, e preparavo da
mangiare. Lei si ritrovò più tempo da dedicare ai suoi gatti, alle amiche, e
alla tivù. Il sabato sera andava a ballare con il gruppo dei parrocchiani, e
rientrava sul tardi, quasi sempre un po’ brilla. Le persone più infelici
probabilmente sono quelle che hanno ottenuto quello che hanno voluto. La gente
s’incazza e si lamenta, ma a me non me ne importa più nulla. Ho imbracciato la
chitarra, e suonato St. Charles dei Jefferson Starship. “Lascia che ti racconti un sogno, Tu sai che nel sogno l'ho vista. Oh, San Carlo canta, e canta l'amore. San Carlo parlami stanotte, vorresti parlarmi d'amore?”
Dopo ho acceso lo stereo e la luce della lampada sopra la scrivania.
Se per un qualunque motivo fosse
necessario definire il rock Who’s Next
degli Who è perfetto per capire cosa
significhi suonare questa musica. Daltrey,
Entwistle, Moon e Townshend nel 1971 hanno firmato uno dei
migliori dischi di sempre. Una cosa che mette quasi in imbarazzo per la
bellezza sconvolgente, e impetuosa, che possiedono ancora queste canzoni a distanza di quaranta
anni. Quando le ascolti capisci che non sai un cazzo. Ecco forse
basterebbe ripartire da qui, perché il rock riconquisti un nuovo interesse. Una
volta erano molte le cose che mi facevano paura. Molte più di adesso.
Un sabato sera accompagnai mia
madre a ballare, aveva talmente insistito che mi sembrò scortese rifiutare. Quando
arrivammo la sala era già piena. Sulla pista affollata le persone sembravano
divertirsi. Lei con il suo arzillo accompagnatore, si mise subito in moto.
Restai un po’ a guardarli poi mi accomodai al bar, ordinando un doppio whiskey
liscio. Come ballerino non ero mai stato un granché’. “Che ci fai qui?” mi disse Leandra, sorridendo e aggiustandosi gli occhiali sul naso. Stava ritta davanti al
mio tavolino. Mi alzai e l’abbracciai invitandola a sedersi. Era prevedibile
che tornando in quei luoghi avrei finito per incontrarla. Eravamo
amici dalle scuole medie, e avevamo avuto una storia d’amore alquanto complicata.
Era ancora una bella donna, con un bel portamento, e un modo di fare che ti
metteva a tuo agio. “Ho finito per trasferirmi nuovamente qui, quando ho perso il
lavoro, la casa, e anche l’equilibrio. Questo è tutto", conclusi. Lei mi guardò
stranamente. “Quello che però non hai perso è la tua maschera”. “Hai sempre l’aria
di chi non si fida di nessuno”. “Anche questo è vero", annuii”. Ordinai da bere
per entrambi, e quando il barista ci portò i bicchieri, ci alzammo e andammo
sul terrazzo a fumare. L’avevo amata abbastanza, pensai, da poterla ancora rimpiangere.
“E’ cambiato tutto dentro di me Bart. Una volta ero davvero tosta, e credo di
non essere impazzita perché il mio lavoro mi ha assorbito in tutto e per
tutto. Ma anche questo alla fine è stato un errore. "Ti ho pensato in questi
anni, ma mi sembrava un'umiliazione cercarti”. Le sorrisi amaro. Stavamo seduti
a chiacchierare con un bicchiere in mano, a rinvangare tristezze. Quando tocchi il fondo tutto ti sembra uguale, ma non sentivo alcun dolore a stare li' con lei.
Dopo mi guardò come per chiedermi qualcosa, ma non sapendo cosa, non dissi
nulla. Appoggiò il bicchiere sul tavolino e se ne andò a ballare.
Tornai a casa a piedi,
attraversando la notte che si era arrotolata nel cielo, cupa e scontrosa. Ero
nella parte nord della città, la parte più ricca. Le case erano nuove, e ben
fatte. C’erano centri commerciali, e il vialone era tutto illuminato. Un tempo quella zona era solo campi, e alberi di agrumi. Ci venivo con lei a bordo
della mia R4 per farci l’amore. Camminai a lungo fino alla casa di mia madre,
e pensai a mio padre. Volevo una vita normale, non mi sembrava di chiedere
chissà cosa. Solo una vita normale. Quando rientrai ero ancora da solo. Non avevo
voglia di dormire e fumando una sigaretta dietro l’altra, pensai a lei.
Avevo bisogno
di musica notturna, semplice, e senza grossi strappi. Qualcosa che mi
permettesse di stare con me stesso. Recuperai l’album di esordio dei Dire Straits, e accesi lo stereo. La
musica nel suo morbido battere si insinuò sotto pelle. Una
volta avevo una donna che potevo dire mia, una volta avevo una donna, la donna è
fuggita dove una volta c’era il fiume. Adesso c’è pietra. E' brutto, sai, quando si
è soli” (Water Of Love). Era
il tiro giusto per tastare le mie cicatrici, e per rispondere ai miei quesiti. Quel
languido tocco di chitarra mi rendeva meno cattivo. In passato non avevo avuto molta
pazienza. Certo potevo fare di più, sapevo anche questo. Ma delle cose a cui
tenevo ne parlavo poco, anche a me stesso. Non mi piaceva inventarmi nuove smorfie,
solo per stare con gli altri. Cercare scuse, e fare
trucchi, che non sarebbero serviti a nulla. Non mi apparteneva quel modo di
fare. Quello che avevo conservato erano solo le canzoni, loro sì, che mi avevano
aiutato a mantenere quella parte di me che non voleva cedere.
La mia vita aveva preso una brutta piega, ma era pur sempre la
mia vita, e qualcosa significava. Prima o poi, avrei ricominciato di nuovo a respirare. Sentii la porta chiudersi. Spensi lo stereo, e anche la sigaretta. Era stata una
notte strana e dura, e non avevo più voglia di arrovellarmi il cuore. Il frigo ronzava, e la luce dei lampioni arrivava fin dentro la stanza. Attesi per vedere se mia madre avesse bussato alla mia porta, e quando non lo fece capi' che era piu' ubriaca del solito. Leandra era ancora dentro di me, perchè negarlo. Fu cosi' che nel tardo mattino mi
assopii.
Bartolo Federico