Quel tizio aveva lo sguardo vago e il naso rosso ma il tono della
sua voce era forte e sicuro. “Noi uomini
sterminiamo tutto ciò che c’è di bello e di buono in questo mondo, e tutti
siamo colpevoli allo stesso modo. Nessuno è innocente”. Si accese un sigaro
e si versò un bicchiere di vino, guardandosi la punta delle scarpe. Per un
breve attimo oscillò in avanti quasi volesse cadere, ma fortunatamente si
riprese subito. La festa delle seconde nozze di un mio vecchio amico, si stava
rivelando più piacevole del previsto. Ci ero andato controvoglia perché ero in
una fase in cui non me la sentivo di stare tra la gente, e solo il pensiero di
rincontrare vecchie conoscenze per poi finire a rivangare i bei tempi che
furono, mi metteva un'assoluta tristezza. Ma Ale me l’ero ritrovato sempre nei
momenti più difficili, e non mi andava di deluderlo. Così su quel prato inglese
di quell’albergo di una famosa località turistica siciliana, bevendo vino
bianco ghiacciato, mi ritrovai a conversare con quell’uomo che con esattezza
non sapevo neanche chi fosse. Ho paura
s’interruppe per portarsi il calice alle labbra, si schiarì la gola, e
proseguì; “ho paura che non resterà più
nulla su questa terra di meritevole. Stanno spazzando via tutto con inaudita
ferocia e violenza, stanno creando un mondo che è una pattumiera a cielo
aperto. Il guaio è che a nessuno sembra importargliene. Di questo passo dove
andremo a finire?" "Ho
l’impressione", proseguì avvicinando il sigaro che teneva in mano e
poi allontanandolo come per focalizzarlo, "che finiremo male, molto male. Quest’universo è amministrato da gente
incapace che ha sempre pensato al proprio profitto, e mai al bene comune.
Ciarlatani, saltimbanchi, che hanno in mano il destino degli esseri umani. E'
veramente incredibile tutto questo”. Quello sconosciuto era davvero un
fiume in piena, s’infiammava e trasudava passione da tutti i pori. Restammo a
parlare fin quando due bambini giocando a rincorrersi mi franarono sulle gambe.
Li osservai rialzarsi lesti da terra e correre via. Chissà perché pensai alla
solitudine degli uomini. Quella solitudine che ci perseguita e ci rende amara
la vita. Che ci riempie di dubbi e man mano che avanza sgretola le nostre
piccole certezze. Come fanno certi blues tristi e dolorosi che ti divorano
dentro sin dal primo ascolto, per non lasciarti mai più. La mattina dopo mi
svegliai all’alba che ero completamente sudato, e senza aver dormito a
sufficienza. Era una giornata afosa per cui mi ficcai velocemente sotto la
doccia, prima di prendere il caffè. Sotto il getto dell’acqua ripensai alla serata
trascorsa, tutto sommato considerai che mi ero rilassato, una cosa che ultimamente
mi capitava di rado. Mi asciugai in fretta e scesi in cucina. Mentre preparavo
la caffettiera accesi la radiolina, che suonò incredibilmente Peggy Sue.
Un brivido mi percorse il corpo, quasi come fosse una scossa elettrica. Una
canzone che difficilmente oggi senti per radio. Una canzone che fece conoscere
al mondo le stella di Buddy Holly. Che da
quando è morto, il rock non è più lo stesso. Questo lo ha detto un protagonista del film America Graffiti, pellicola che
diresse George Lucas nel 1973,
che è un omaggio alla sua giovinezza e al rock’n’roll. Buddy Holly nasce a Lubbock in Texas, nel 1936. È un
ragazzino precoce con la musica. A quattro anni prende lezioni di violino, e a
cinque partecipa ad un concorso per canterini, dove vince un premio di cinque
dollari. A dodici anni si compra la sua prima chitarra, dopo aver suonato il
pianoforte. Andava ancora a scuola quando con il suo inseparabile amico Bob Montgomery,comincia a suonare alle
feste scolastiche o in casa di amici. La KDAV di Lubbock era una radio country locale che organizzava
concerti nei suoi studi, e al Cotton
Club, una delle sale da ballo più importanti della zona. Hi-Pockets Duncan faceva il
disc-jockey in quella radio, e divenne il primo manager di Buddy Holly. Ogni
domenica pomeriggio dell’anno 1954 Buddy, Bob Montgomery e il bassista Larry
Welborn, suonano alla KDAV
nel programma radiofonico “Sunday Party”,
mentre alla sera aprono gli spettacoli che si tengono al Cotton Club. E’
davvero difficile dire di conoscersi. Chissà quante vite racchiudiamo in ognuno
di noi, che attendono solo di essere vissute. E le cicatrici che ci portiamo
appresso, sono come dei marchi a fuoco per la nostra coscienza. Rassettai il
soggiorno, e mi misi a scartabellare vecchi scritti di mio padre. Che è un modo
per continuare a parlarci. Bisogna sempre guardarsi indietro, per capire da dove
si viene. Holly è il suo gruppo
suonavano e provavano nuove canzoni chiusi nel garage sul retro di casa sua, ed
è verso il 1955 che il batterista Jerry
Allison, comincia a frequentare Buddy. La musica di Holly sta navigando
verso un'altra direzione, e la presenza di Elvis Presley sul mercato discografico favorirà questo
cambiamento. Elvis aveva appena inciso per la Sun Records, quando arriva a Lubbock per una data al Cotton Club
invitato dall’emittente KDAV, ed
è lì che i due s’incontrano. Il giorno dopo quello
show, Buddy aprirà il concerto che Elvis terrà per l’inaugurazione del salone
della concessionaria Pontiac. Il rock’n’roll è stato solo un'illusione di
libertà. E’ servito a contenere le pulsioni di milioni di adolescenti e
ammansirli dentro un recinto, concedendo solo qualche salvacondotto, tanto per
non inasprire troppo gli animi. Ha camuffato con furbizia comportamenti
inoffensivi, facendoli passare per ribelli. Non ha infranto nulla. Chi ha
spezzato le regole lo ha fatto da solo, e per se stesso. Il rock’n’roll non
c’entra con quelle ragioni. Ascoltavano
tanta musica Buddy e i suoi
amici. Elvis, ma anche i Drifters
e Ray Charles, musicisti che
seguivano tutte le sere attraverso una radio che trasmetteva da Shereveport, località vicina a
Lubbock. Non era per niente rivoluzionario Holly nell’aspetto, a differenza
degli altri rocker degli anni cinquanta. Anzi, sembrava uno studente riservato
e impacciato, con quei grandi occhiali che gli ornavano il volto. Ma
musicalmente era il più avanti di tutti. Un cantautore che sapeva mescolare con
estrema sensibilità tutti i generi musicali che lo avevano influenzato, creando
un suono riconoscibilissimo. Fu tra i primi ad utilizzare in studio la tecnica
dell’overdubbing, (sovra incisione) ed a lanciare la chitarra Fender
Stratocaster nel mondo del rock. In Pulp
Fiction il film di Tarantino
nel locale Jack Rabbit Slim (che
è anche il titolo di un disco di Steve
Forbert) a tema anni cinquanta, l’attore Steve Buscemi è un cameriere travestito da Holly. Quando quella
mattina la signora Stella mi vide passare, mi salutò con un cenno degli occhi.
Se ne stava sotto la grondaia al fresco del suo chiosco, e combatteva l’afa di
un agosto opprimente, sventagliandosi noiosamente un po’ d’aria. Suo marito
"l’americano" come lo
chiamavamo nel quartiere, era seduto accanto a lei, e sorseggiava una granita
limone. Quell’uomo aveva sempre l’aria del cazzo, con quei baffi irti sembrava
che non cambiasse mai d’espressione. "Caramelle
dolci, cocco, panini" vociò lei rauca. La conoscevo sin da bambino e
gli ero affezionato. Ci ero cresciuto giocando sul marciapiede di quella strada. Al Fair
Park Coliseum di Lubbock nel 1955 Bill Haley and His Cometes e Jimmy Rodgers Snow, tennero un concerto. Ad aprire quell’evento ci
pensarono Buddy e i suoi amici. Quella sera era presente l’impresario di
Nashville Eddie Crandall che
rimase folgorato da quei ragazzi, tanto da chiedere a Dave Stone il proprietario della radio KDAV, l’acetato di quattro
loro brani. Canzoni che tramite Crandall arrivarono a Paul Cohen della casa discografica Decca, che lo volle subito sotto contratto anche se da solista. Fu
Bob Montgomery a convincere Buddy ad andare a Nashville, perché lui non ne
voleva sapere di lasciare gli altri a casa. Quella session per la Decca incisa
il ventisei gennaio del 1956
allo studio Bradley’s Barn,
produsse il suo primo singolo “Blue
Days, Black Nights”, mentre sul retro ci sistemarono “Love Me”. La seconda seduta viene
fatta un paio di mesi dopo, il ventidue
luglio del 1956, questa volta Buddy incide con la batteria, e a suonarla
c’è il suo amico Jerry Allison.
Da questa session non escono dischi, anzi c’è da parte di Cohen una qualche
sorta di ripensamento sulle qualità artistiche di Buddy. Ma si sa che Nashville
è un ambiente musicalmente conservatore dove si suona da sempre il country, e
trovare musicisti adeguati alla musica di Holly che era uno sperimentatore, era
davvero difficile. Quel giorno tra l’altro incisero anche “That’ll Be The Day”, che sarà il primo
grande successo di Buddy e dei suoi Crickets.
Avevo circa sette anni quando un
parente tornando da un suo soggiorno in Svezia, portò in regalo a mia madre dei
quarantacinque giri di Elvis Presley. Erano tempi in cui le famiglie italiane
se ne stavano riunite in religioso silenzio, ascoltando e registrando le canzoni
del festival di Sanremo con dei piccoli apparecchi a cassetta, appoggiati
all’altoparlante della televisione. Io invece me ne stavo sotto la branda del
mio letto con il mangiadischi, ad ascoltare quei dischetti neri, fino a quando
non si scaricavano le pile. Quelle canzoni stavano cantando del mio sogno e fu
allora ne sono certo, che quel tremito interiore s’impadronì di me. Adesso è
come se avessi appoggiato un occhio su una foto sbiadita dal tempo, che
m’imbottisce di nostalgia. Il rock’n’ roll è stato il desiderio di
essere liberi, una voglia irrefrenabile di fuga, di spazio. Ma anche della paura
che questa nuova condizione implica. Così gli sconfitti, i solitari,
nell’immaginario del rock diventano eroi, perché in qualche modo credono di
avere una superiorità morale rispetto al resto del mondo. Ma il rock è una
visione, e come tutte le visioni ha dei confini su cui muoversi, e i confini
indicano sempre delle limitazioni, quindi il controllo da parte di qualcuno. Il
rock nel tempo non è riuscito più a comunicare e crescere. L’industria che gli
gira intorno è riuscita ad omologarlo e a fargli perdere l’orientamento. A novembre del 1956, Buddy Holly tiene
l’ultima registrazione per la Decca. Vi suonano solo session men, e a Natale
dello stesso anno viene pubblicato il singolo “Modern Don Juan”, con sul retro “You Are My One Desire”. Buddy Holly comincia a viaggiare verso
altri contesti, e prende a collaborare con Norman Petty, che a Clovis New Mexico ha uno studio di registrazione.
Petty è un musicista di successo, ha mandato nelle classifiche di vendita due
brani “Almost Paradise” e “Mood Indigo”, e fa pagare il costo del
suo studio non ad ore, ma a canzone. Holly registra qui nuovi brani da proporre
alla Decca, che però non gli rinnova il contratto. “That’ll Be The Day” viene nuovamente registrata in questo studio
il venticinque febbraio 1957, ed
è la versione che andrà in classifica. Qui si forma anche il nucleo storico dei
Crickets, che oltre Buddy Holly,
vede Niki Sullivan alla
chitarra, Allison alla batteria,
e Welborn al basso. Saranno poi
le sussidiarie della Decca, Brunnswick e Coral, a distribuire quei dischi. La sera al rientro mi sentivo
particolarmente stanco, accesi una spirale d’incenso su un piattino per tentare
di allontanare le zanzare, e mi coricai tirando il lenzuolo fin sulla testa.
Alcuni di noi sono predestinati alla salvezza, altri condannati alla
dannazione. Ma converrebbe sempre non fidarsi di nessuno, se non si vuole
crepare prima dei propri giorni. Rimasi immobile nel letto con gli occhi sbarrati,
e contando le pecorelle cercai di prendere sonno. Quella sera però non riuscivo
a dormire nonostante la spossatezza, allora mi alzai, e sul balcone mi accesi
una sigaretta. Ne aspirai qualche boccone e la gettai via con disgusto.
Guardai il tubo del neon del terrazzino che era assaltato da minuscoli insetti,
e tornai a coricarmi, lasciando la finestra spalancata. Alle volte ci sentiamo
indifesi tutti infilati negli stessi sogni, tutti uguali, tutti soli. Mi chiesi
se era Peggy Sue che mi mancava? Il
ventisette maggio del 1957, a nome Crickets “That’ll Be The Day” fa il botto e arriva al numero uno delle
classifiche inglesi, e si piazza terza in quelle americane. L’attività
concertistica del gruppo subisce un'impennata notevole, mentre nelle studio di
Norman Petty, si continua a lavorare a nuove canzoni. Tra il ventinove
giugno e il primo luglio, Buddy registra a suo nome Peggy Sue, e dopo qualche mese dalla sua pubblicazione parte in
tour insieme a: Chuck Berry, Drifters,
Paul Anka, Eddie Cochran e Fats Domino. La paga è di mille dollari alla
settimana. I Crickets e Buddy partirono invece per un tour di venticinque giorni in
Inghilterra, dove hanno ben quattro singoli in classifica. Qui partecipano ad
una trasmissione della BBC chiamata Off
The Record, e subito dopo fanno ritorno negli States, dove invece
prendono parte ad un tour guidato dal disc jockey Alan Freed, chiamato The
Big Beat, insieme a Jerry Lee
Lewis e Chuck Berry. E'
nell’agosto del 1958, che Buddy Holly sposa Maria Elena Santiago che ha
conosciuto a New York. In questo periodo di cambiamento cerca di diversificare
anche il suo repertorio, e invita il sassofonista King Curtis a registrare un suo pezzo “Reminiscing”. Esistono cose davvero malvagie nel mondo, che
non smetteranno mai di riprodursi. Ma come il sole che ogni giorno continua a
sorgere e tramontare, anche l’amore non si ferma mai ed è incontenibile.
Continua a scavare e a scalciarci dentro come un bambino nel grembo. Cos’è
stato il rock’n’roll se non quell’illusione di restare per sempre giovani, per
sempre innocenti? Due strofe e un ritornello che è un modo come un altro per non
perdere la propria identità, per riconoscersi in qualcosa prima di finire in
quel mondo, che è l’ingresso nella vita dei grandi. Dopo l’ultimo tour con Frankie
Avalon, il grande Dion And The
Belmonts e Bobby Darin, Buddy scioglie i Crickets e si trasferisce
a New York, andando ad abitare al Greenwich
Village. Qui con l’orchestra di Dick
Jacobs, incide il ventuno
ottobre del 1958 un brano di Paul Anka “It Doesn’t Matter Anymore”. Sono quindici mesi che Holly si
divide tra tour e sala d’incisione. A New York finalmente trova il tempo di
rilassarsi e incide a casa sua delle canzoni solo per chitarra e voce, pezzi
finiti in cui collabora anche sua moglie. Il 2 febbraio del 1959 Buddy Holly ha ventidue anni e insieme a Dion And The Belmonts, Frankie Sardo, Ritchie
Valens e The Big Bopper (J.P.
Richardson) si trova al Surf
Ballroom di Clear Lake
nello stato dello Iowa. Finito
lo spettacolo per evitare un lungo trasferimento in macchina, e dato che
all’indomani devono suonare a Moohead
nel Minnesota, Holly, Valens e
Big Bopper, affittano un aereo un Beech Bonanza pilotato da Roger Peterson. Nella notte decollano,
ma l’aereo precipita poco dopo, a cinque miglia dall’aeroporto di Mason City. Muoiono tutti, e verrà
accertato che è successo per un tragico errore del pilota, che ha inserito il
volo strumentale senza saperlo usare del tutto. It Doesen’t Matter Anymore pubblicata il cinque gennaio del 1959, diventerà il più grande successo di Buddy
Holly. La brace della sua sigaretta brillava nel buio. Quando la vidi dentro
casa non mi ricordai se avessi nutrito qualche speranza di rivederla.
Attraversai il salone e me la trovai di fronte. Aveva un'aria smarrita. Vuoi fumare?
mi chiese nervosa. Una semplice domanda, a cui non seppi rispondere. Era
diventata misteriosa. “L’ho sempre saputo che sarei tornata da te”. Mi
sentivo bruciare le guance e prima che ruzzolassi nel buio di me stesso, versai
due bicchierini di brandy e mi sedetti sulla panca del terrazzino. La guardai
con attenzione. Era bella con i jeans sbiaditi e quella camicetta attillata,
che gli faceva quasi esplodere il seno. “Perché sei tornata" gli
chiesi. E guardai il cielo nero, chiuso, piatto, sopra la mia testa, in attesa
della sua risposta. “Perché è solo qui che ho le mie certezze”. Nonostante
fossero le dieci di sera il caldo era ancora soffocante. Scrutai i suoi grandi
occhi castani e mi parve gracile. Se ne stava in piedi in un atteggiamento mite,
che era anche questo una sorpresa. Avevo sempre avuto un debole per le donne
sagaci e tristi. “E’ l’amore disse, che mi ha portato fin
qui, nient’altro”. Non c’era alcuna aggressività in lei, lo notai alle
prime luci dell’alba mentre dormiva tranquilla arrotolata nel lenzuolo. E’ un
labirinto l’amore che c’inghiotte nelle sue spire e che ci salva da noi stessi.
Mi alzai e preparai il caffè. Lo bevvi da solo in silenzio a sorsi molto
lenti. Poi accesi la radiolina. Peggy Sue I love You.
Bartolo Federico
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