Quella piccola notte si era infilata in un'altra più grande. Fuori in strada c’era freddo e silenzio. Fu così che Nora mi sussurrò in un orecchio: ci si sbaglia sempre a giudicare il cuore degli altri. Mi girai verso di lei e la fissai per un lungo istante dritto negli occhi, ma non sapendo cosa dire restai in silenzio. Di sicuro a quel punto della mia esistenza non pretendevo da nessuno di essere consolato e, per di più, non mi sentivo vulnerabile negli affari di cuore. Le miserie più intime, quelle che raccogliamo nel carrello della vita, le spingevo benissimo da me. Forse in un attimo di compassione umana, lei cercava il modo migliore per non ferirmi. Per dirmi che voleva andar via, che si sentiva soffocare, che rivoleva la sua libertà. Insomma era pronta a dirmi le solite bugie, quelle che si raccontano quando semplicemente non si ha più voglia di farsi scopare. Ma io ero già pronto, al riparo da tempo. Da quando un giorno ero scivolato nel buio guardando la pioggia cadere. Da allora non esigevo più nulla dal genere umano. Avevo imparato a resistere, senza un singhiozzo, senza una parola, senza un sorriso, senza niente. Troppe volte c’ero cascato e il risultato era stato quello di ridurmi in un colabrodo. Facevo acqua da tutte le parti.
Si era tirata il lenzuolo sotto le braccia e nella penombra mi scrutava come fossi un animale braccato a cui stava dando la caccia. Ai piedi del letto c’era una scatola di cioccolatini ancora intatta. Erano del tipo con il liquore e la ciliegia dentro. L’aprii e ne mangiai uno. Sentivo un leggero fastidio ad essere osservato in quel modo, ma continuai a non dire nulla. Aspettavo paziente la sua prossima mossa. Certo, nel frattempo avrei potuto rimestare in quelle ceneri spente, cercando di attizzare la vecchia brace. Ma a cosa sarebbe servito? Allungai la mano sul comodino e presi il telecomando dello stereo. Pigiai il tasto del play e feci partire il cd. Hank Williams ,The Lost Concerts, iniziò a suonare. Quelle canzoni le conoscevo a memoria .Un tempo le avevo anche arrangiate, suonate e cantate con la mia Gibson J-45, in una versione folk- punk in stile Violent Femmes del loro primo album. Mi divertivo un casino a sbraitare nel microfono: I've grown so used to you some how Well, I'm nobody's sugar daddy now And I'm lo-on-lonesome I got the Lovesick Blu-es.(Lovesick Blues). In quel cd erano stati riproposti due concerti che Hank Williams aveva tenuto nel 1952, l’ultimo anno della sua vita. Uno a Niagara Falls, l’altro in Sunset Park. Il vento maligno, che lo aveva sempre accompagnato nella vita, li aveva portati fino ai nostri giorni. E questo era da considerarsi davvero un miracolo.
Mi alzai dal letto ed andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Avevo lasciato molte cose dietro di me che a guardarle adesso mi parevano come lividi tumefatti sulla pelle. Erano cose morte. Stare ora a rimuginarci sopra significava riaprire vecchi conflitti, ma quella notte stava andando così. Ero sempre stato un tipo difficile o, meglio, gli altri credevano che lo fossi. Indubbiamente, trascorrevo molto tempo da solo e conoscevo bene le strade per mettermi nei casini. Da ragazzo al liceo costruivo molotov. Ero uno specialista in quel genere di bombe. Le utilizzavano nei cortei i compagni più grandi, quelli delle frange oltranziste per lanciarle contro i celerini o per incendiare i circoli frequentati dai fascisti. Erano gli anni settanta, c’era tensione sociale e molto subbuglio. Ma era la solita storia dei ricchi contro i poveri e viceversa. Solo che si era giovani e l’indifferenza non ci aveva ancora sopraffatto. Si aveva dentro un romanticismo maldestro. Dopo, quando si ha un passato alle spalle, la vita diventa più complicata. La poesia ce la divoriamo insieme a tutto il resto. La gente a quel tempo mi guardava in malo modo per come mi vestivo e per quello che combinavo. Mi cacciarono più volte dalla scuola per comportamento ribelle. Ma quando imbracciavo la chitarra e suonavo tutto cambiava, mi veniva naturale. La musica sgorgava dal mio cuore fluida e provavo sensazioni indescrivibili. E gli sguardi di chi mi ascoltava erano pieni di sorpresa e ammirazione. Tuttavia, avevo una grossa pecca, suonavo il rock dei Lynyrd Skynyrd, Allman Brothers, The Band, Lou Reed, Stones. Musica che a quelle truppe della sinistra stava sulle palle. La consideravano con disprezzo, musica imperialista. Il posto dove vivevo era una piccola città e le cose accadevano lentamente. Gli intellettuali che bazzicavo amavano ascoltare il free - jazz, e gruppi come Area o Perigeo e prediligevano le canzoni dei cantautori, definiti di protesta. Musicisti che tentavano in qualche modo, ma solo in qualche modo, di rifarsi al folk di Bob Dylan. Gli stavo indigesto a quei radical-chic, con la puzza sotto il naso, che erano finiti per chiudersi in circoli e club, tanto da sembrarmi una setta massonica. Non fu una novità per me quando mi cacciarono via. Troppo solitario, testardo e indipendente, per portare un eskimo addosso.
Un giorno lei non venne all’ appuntamento. Era successo altre volte che saltasse l’incontro, per cui non mi preoccupai. La sera la chiamai a casa, il telefono squillò a lungo ma non rispose. Allarmato da chissà quali pensieri, uscii e mi recai in tutti gli ospedali della zona per vedere se le fosse successo qualcosa. Ma fortunatamente non vi era traccia nemmeno lì. Continuai a cercarla per giorni. Ma era come se brancolassi nel buio. Dopo un po’ mi arresi. Un anno dopo, nella buca della posta, trovai un cartoncino di quelli che si usano per mandare gli auguri di Natale. C’era solo scritto”Perdonami”. Forse Clio non è mai esistita e quello era un sogno, un brutto sogno che mi porto ancora appresso.
Tratto da: Viaggiatori Nella Notte


Nessun commento:
Posta un commento