Alla seconda sorsata gli si riempirono gli occhi di lacrime. Nemmeno gli
angeli del paradiso lo avrebbero potuto consolare. Si sentiva come un bambino,
terrorizzato da quell’attacco di panico. Posò lo sguardo sui suoi pensieri e
rimase stranito, tremante, fermo in mezzo alla strada. Si era attaccato alla
bottiglia, anche se quel vino sapeva d’aceto. Ma alla fine ci si sbronza con
quel che si trova. L’alcool gli esplose dentro lo stomaco, facendolo quasi
vomitare. La strada puzzava di merda di cane. Mentre un pallido velo di fumo,
infiacchiva la luce dei lampioni. Aveva sempre fatto una gran fatica a
sbaraccarsi da quelle barriere in cui si era recintato. Anche se uno non lo sa,
o fa finta di niente, s’impara tutto da piccoli, quando si è deboli e insicuri.
Un suo zio prediletto, quello che ti porta al cinema e ti offre da fumare, gli
disse di comportarsi bene, se non voleva finire in galera. Adesso la pioggia
aveva cominciato a cadere densa. Sotto quel diluvio, i suoi spettri presero a
far rumore e a urlare violentemente. Gli parve di vedere dei corvi alzarsi in
volo. Girò lo sguardo verso il muro, e quando alzò nuovamente gli occhi, il
giorno arrivò. In una tromba di luce accecante. La vita è piena di delusioni. Di sogni rancidi, di
profili sbiaditi, di amori fasulli, di merda e morte. Dopotutto la speranza non
costa granché. Anche quella di diventare ricchi e famosi, non costa nulla. A
lui piaceva viaggiare nelle strade buie e silenziose, osservando la linea di
mezzeria. In fuga da tutto e da tutti.
Ed Cassidy aveva suonato la batteria con Thelonious
Monk, Gerry Mulligan, Art Pepper, Cannonball
Adderley. Quando a Los Angeles
incontra Randy California - un chitarrista fantasioso e originale
che aveva suonato con Hendrix e Jimmy James The Blue Flames - con
Mark Andes, John Locke e Jay Ferguson, danno vita a uno dei gruppi più atipici della scena
rock americana. Gli Spirit suonavano musica davvero difficile da
etichettare. Erano tra i pochi a sapere mescolare il pop, (uno dei più grandi
riff rock rimane la loro I Got A Line On You) con spunti jazzistici, musica psichedelica e limpide armonie
vocali. Musicisti eccelsi, impeccabili, ma non per questo privi di cuore. “The
Family That Plays Together”
venne fuori nel dicembre del 1968
e conteneva sette canzoni, che suonano misteriose e inquietanti,
ambigue e tenebrose. Ma anche oniriche e rilassanti. Come fantasmi nella
notte, riescono
ancora ad aprirsi un varco in quei frammenti di luce, che in un modo o
nell’altro ci tengono vivi. L’autunno e
il freddo. Fondi di caffè e sfere di cristallo. Imposte chiuse, campanelle e
fanfare. Alle volte non riesci a respirare. Quel morso che ti
attanaglia, non si calma. Toc! Toc! Toc! Si fermò ansimando come un cane rabbioso. In quel grande vuoto, poteva
anche marcire di malinconia. E allora si mise a canticchiare "Sunny".
Quella canzone lo faceva sentire meglio. Il cuore riprese a battere, tremare,
tuonare. La musica lo ripuliva. Il sogno era come un’ambulanza che lo
soccorreva. Prese a camminare a testa alta, con il passo di chi non ha più
paura.
“E musica che potete sentire in ogni
luogo, allo radio, nelle strade, blues, soul, country, rock, musica religiosa e
suoni del traffico, della folla, della strada e dei prati, il suono del
silenzio della gente”.
Questo scriveva il
chitarrista Mike Bloomfield
nelle note di copertina di A Long Time
Comin’ l’album d’esordio targato 1968,
degli Electric Flag. Con Michael
c’è anche il vecchio amico Nick
Gravenites, Buddy Miles, Barry Goldberg, e Harvey Brooks. Una sezione di fiati
completa l’ensemble, per un progetto stilistico ambizioso. La band è davvero
esplosiva, soprattutto dal vivo. Si esibiscono con buon successo al festival di
Monterey e partecipano alla
colonna sonora del film The Trip.
Ma in studio forse per colpa di certi arrangiamenti, non riescono a essere
convincenti. Sicuramente Bloomfield è l’esatto opposto di una rockstar. Un uomo
stracarico di tormenti interiori. Un carattere schivo e taciturno, che lo mette
in difficoltà a stare sotto le luci della
ribalta. Soffre anche di una grave forma d’insonnia, tanto che comincia a farsi
di eroina. Prima di formare gli Eletric Flag, tra il 1964 e il 1965, suona in
studio con Bob Dylan in Highway 61 Revisited. In seguito farà
parte della Butterfield Blues Band,
e dopo aver accompagnato per un pezzo di strada Eddie Vinson, forma i Flag. “A Long Time Comin’” rappresenta uno spaccato di quell’epoca del
rock, quand’era più facile tuffarsi su qualche strada, e dare gas ai propri
sogni. Ma allora si aveva voglia di ubriacarsi a ogni fermata che si faceva,
pronti a ricominciare, qualsiasi cosa capitasse. Ci sono dentro queste canzoni i
frastuoni ossessivi della città del vento, e i suoi rumori. E anche i miei
giorni innocenti.
La cucina era in
miniatura e dava su un piccolo cortiletto sporco, pieno di vecchie cose
arrugginite, accatastate l’una sull’altra. Un motore diesel, dei copertoni, un
manubrio. Fusti di latta, scatole di polistirolo, sopramobili, un portacenere di
marmo, un quadretto con foto in bianco e nero. Ferri da stiro, un campanello
elettrico, caraffe di legno, quel che restava di una macchina per cucire, un
paraurti, delle scatolette di cibo per gatti. Un ventilatore a colonna, un
saldatore elettrico, un rullo per pittura, mazze da carpentiere, uno scappello
a punta. Un cane arrotolato su se stesso dormiva a ridosso di
quella catasta. Nella tromba delle scale del palazzo, i ragazzi giocavano a carte
bevendo succo di pera mischiato a gin. Prese una birra e accese lo stereo. Con
suo fratello da bambini giocavano ad ammazzare gli scarafaggi che passavano sul
davanzale del balcone della cucina. Un pomeriggio né contò più di cinquanta.
Era cresciuto in quel quartiere dove conosceva tutti, e in qualche modo in
quel luogo, si sentiva al sicuro. Ma nel tempo molte cose erano cambiate. Molti luoghi della sua memoria erano spariti per fare spazio a inutili
palazzi, e a quei centri commerciali del cazzo, che stavano sterminando il suo
passato.
Alle prime note di
“God Bless The Child” alzò il volume dello stereo. Aveva sempre uno strano
effetto quella canzone su di lui. Quel disco gli emanava una sensazione dolce,
lo metteva a suo agio. Rimase a guardare fuori dalla finestra la strada che si
faceva buia. Quando la musica terminò stappò la birra che teneva in mano, e si
sedette sul bordo del letto. Dopo si distese e si addormentò di colpo. Certo
che non sarebbe male, se ci fosse qualcosa che ci facesse distinguere da subito
i buoni dai cattivi. Ma alle volte basterebbe guardarle da vicino le cose,
per vederle. Il quartiere della diciottesima circoscrizione era abitato da
operai, gente umile, alla buona. Fin da piccolo aveva imparato frequentando
quelle strade, che c’erano solo due modi per cavarsela nella vita. O ci
penetravi inzuppandoti fino alla testa col rischio di soffocare, oppure era
meglio risalire il fiume spingendo lentamente la canoa, in modo tale da potere
vedere i giorni che passano. Lo avevano svenduto quel quartiere in nome del
progresso, i fantocci che amministravano la città. I piccoli negozi avevano chiuso,
gli affitti erano diventati vertiginosi, ed erano arrivati in massa i cinesi ad
arraffare tutto quello che potevano, per aprire i loro punti vendita, e
riempirli di pattume. Camminava stordito anche tra le cose che gli sembrava di conoscere.
Era tremendo osservare come ce ne fossero di cose, e persone smarrite nei
ricordi, che non si muovevano più. Come i morti. Quando uno invecchia non sa
più chi risvegliare. Ascolti vai! Poi ti ritrovi. Sali in cima e scendi, guardi
dappertutto. Un passo, due passi, adagio, non vedi nessuno. Buongiorno angosce.
Cadrai a pezzi come un rottame. Niente di grave. Ma vada come vada, non farai
domande. La gente sbraita e rompe le palle. Mi concentrerò solo sul respiro,
solo sul respiro. Siamo tutti tremendamente soli, in questo mondo.
Bartolo
Federico
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