Cucito con le ombre della notte, scrutava la strada che si dipanava davanti ai suoi occhi. La luce del quadrante della radio illuminava di arancione l’abitacolo, e Facciadiluna
pensò a dove potersi rifugiare. Tornare indietro non gli era più
possibile, era finito sotto tiro e quella pausa di sospensione per
l’evento finale lo aveva del tutto inghiottito in un respiro profondo. Alle volte la vita è davvero complicata, pur rompendosi in brandelli quel faro di luce pare che resti sempre acceso sulle nostre piccole miserie. La radio stava per trasmettere musica per i perdenti, così annunciò lo speaker che prosegui dichiarando che quella notte era a tutti loro dedicata. Facciadiluna strizzò gli occhi per non farsi sopraffare dal sonno e accelerò leggermente. “If you ever change your mind. About leavin’, leavin’ me behind. Oh, oh, bring it to me. Bring your sweet lovin’. Bring it on home to me, oh yeah”. Aveva cercato in tutti i modi di tenere lontano il buio, ma il buio era arrivato ringhiando. Forse occorre
davvero avere molta attenzione e parsimonia per estinguere una vita.
Molta di più di quella che le circostanze casuali ci mettono per
appiccarne la scintilla. “E cos’hai alla
fine del giorno? Cos’hai da portar via? Una bottiglia di whisky e un
nuovo set di bugie persiane alla finestra e un dolore dietro agli occhi”. L’aveva
ritrovato per caso quel vecchio portafoglio, come in una caccia al
tesoro, rovistando nella stanza, era saltato fuori e insieme a questo quella lettera d’amore mai spedita.
Ci aveva infilato le mani tastando dentro quel rigonfiamento ed era
venuta alla luce ingiallita e spiegazzata. Se la passò tra le mani come
un mazzo di carte finché il suo viso non diventò bianco come le pareti
della stanza. Eccola lì, quasi fosse stata la cosa più importante del
mondo. Indietreggiò alla maniera di un ubriaco, inciampando sul tappeto,
e gli parve di sentirsi come se l’avesse finita di scriverla in
quell’attimo. “Un Romeo pazzo d’amore
canta una serenata dalla strada. Lasciando tutti malinconici con la
canzone d’amore che ha fatto. Trova un lampione fa qualche passo fuori
dall’ombra dice qualcosa del tipo:”Tu ed io, piccola, che ne dici?” Concentrato in quei pensieri prese in pieno la buca sbattendo il muso sul manubrio. Accostò sul ciglio della carreggiata e controllò che l’auto non avesse subito danni.
La sorte questa volta era stata indulgente. Risalì in macchina e
ragionò che era molto meglio togliersi dalla strada perché stava
rischiando più del dovuto. Anche se intorno non vi è anima viva, quando
te la svigni la prudenza non è mai troppa. La camera dell’hotel Imperial
era come quella di tante pensioni a buon mercato sparse per il mondo.
Un letto di legno con la formica marrone scorticata e annerita dal
tempo. Una lampadina sotto un paralume di lamierino e un armadio di
legno lo stesso colore del letto. Si accomodò sulla sedia e si accese
una sigaretta. Poi si tolse il cappello. “Non mi serve la tua
compassione chi fugge dice che le strade non sono più per i sognatori I
cacciatori di taglie e i fantasmi che vendono ricordi vogliono anche
loro una possibilità”. Dischiuse gli occhi in preda agli incubi che era ancora in quella stanza orribile con la luce della lampada accesa. L’aveva sognata che lo accoltellava,
aveva visto le sue mani e la lama del coltello trafiggerlo. Il suo
vestito si era macchiato del sangue che davanti usciva copioso dal suo
ventre. Lei continuava a fissarlo con quegli occhi freddi aspettando solo di sferragli il colpo di grazia.
Erano stati insieme molte volte, avevano fatto l’amore in maniera
selvaggia, e anche feroce, fino a perdersi… ma la paura gioca brutti
scherzi e riesce a trasformare due amanti in perfetti estranei. Quello era il suo unico amore, un amore alla rovescia. Era una solitudine senza fine, la loro. “Melanie
Jane non proverà dolore. Triste triste. Occhi tristi, viso triste.
Triste triste a casa tua. Pensavo di sapere tutto quel che c’era da
sapere E io ti amo ancora. Ti amo ancora”. Dopo un po’
l’amore, come molte altre cose, finisce di ardere, rimuginò azionando la
manovella dello sciacquone del bagno e guardando l’acqua scendere giù
nel buco nero. Prima di rimettersi a letto, inghiottì un lungo sorso di bourbon
dalla fiaschetta. L’alcol era la sua cintura di sicurezza, il suo
antidoto per il panico. Solo che andando avanti in quel modo alla fine
la sua mente si era annebbiata e non sapeva più come distinguere i sogni
dalla realtà. “A volte sono sopraffatto. quando ci
ripenso facevamo l’amore sull’erba verde dietro lo stadio con te, mia
ragazza dagli occhi castani. Tu, mia ragazza dagli occhi castani”. Restò
riverso sul letto in preda alla confusione senza arrivare in alcun
modo a fare chiarezza dentro di sé. La radiolina accesa sembrava che gli
stesse parlando e tastandogli il polso con il sax di John Coltrane che suonava Violets for Your Furs.
All’improvviso ti aggrappi ad una speranza, ad una nuova possibilità di
salvezza. Non tutti lo sanno ma, mentre si affonda, si continua a
nuotare muovendo spasmodicamente i piedi e spostandosi dal nulla verso
il nulla. È banale dirlo, ma nasciamo come moriamo, sempre soli. La roba doveva arrivare lunedì notte, ma un imprevisto fece rimandare la consegna. Gino Il Verme
lo avverti dopo due giorni dall’arrivo del carico, inviandogli un
messaggio sul telefonino con cui gli indicava anche l’ora e il luogo
dell’appuntamento. Il giorno convenuto si preparò di buon’ora ed uscì da
casa prima del solito. Aveva come un presentimento e gli era venuta
voglia di farsi un giro in città. Non aveva paura per quello che avrebbero dovuto fare, non aveva nessuna paura delle sue azioni. Erano altre le cose che lo annientavano, che lo lasciavano annichilito e senza speranza. Continuava a correre, correre, senza fermarsi.
Era quello il suo vero problema: raccogliere i cocci. Quel gesto lo
avrebbe semplicemente distrutto. Come una vecchia pendola con il
quadrante rotto ma con i meccanismi intatti, seguitava a girare nel
vuoto. Lo speaker con voce gentile presentò un nuovo brano e un ondata di gelo lo percorse. “Sono l’innocente
spettatore Mi sono in un certo modo bloccato tra l’incudine e il
martello E sono giù nella mia fortuna, sì sono in basso nella mia
fortuna… Beh io sono giù sulla mia fortuna mi sto nascondendo in
Honduras sono un uomo disperato Invia avvocati, armi e denaro la merda
ha colpito il ventilatore”. Stavano nascosti da tutte le parti i piedipiatti quella notte. Avevano circondato il porto e acceso i fari e loro erano finiti in trappola come dei babbei… ma qualcuno di certo aveva parlato, era tutto sbarrato tranne quella via di fuga che in pochi conoscevano, un tunnel sotto la banchina del porto. Gli agenti spararono in aria qualche colpo di pistola, ma la banda era composta da gente dura e spietata,
abituata a ben altro per lasciarsi intimorire da quattro botti esplosi
al cielo come alla veglia del santo patrono. Stava quasi per incanalarsi
per poi sparire nel cunicolo, quando l’agente gli urlò da dietro “non ti muovere, sei sotto tiro, fermati cane rognoso!”.
Tenendo le mani larghe si girò lentamente. Poi per un lungo istante si
guardarono in faccia. Cosa poteva fare adesso? Dove poteva scappare con
quella luce negli occhi che lo accecava e la canna della pistola che lo
mirava? Tornare dentro sarebbe stato peggio di morire e allora era
meglio prendersi un colpo di rivoltella dritto in mezzo agli occhi,
ragionò con distacco. “Dici ancora le tue preghiere
tesoro mio? Vai ancora a dormire la sera? Pregando che domani tutto
andrà bene. Ma i domani si mettono in fila In fila uno dopo l’altro Ti
svegli e stai morendo Non sai nemmeno per che cosa”. Gli
bastò quell’occhiata per capire che quel gonzo era un pivello e che
probabilmente quella sera era la sua prima volta. Il rischio che
correva, però, era alto. Il tipo avrebbe potuto fare fuoco per un nonnulla…
ma proprio di questo non è che gliene importasse molto. Se lo era
chiesto spesso per quale ragione i suoi pensieri non erano mai stati
lucidi. Di sicuro lo avrebbero aiutato a sentire meglio quella presa,
agguantarlo e spingerlo verso il baratro. O forse era sempre stato solo
un morto che camminava dentro la vita! Con un balzo improvviso disarmò il poliziotto, gli sferrò un colpo sulla nuca, ma solo per stordirlo e avere il tempo di scappare. Non voleva fargli troppo male, era solo un ragazzino che aveva visto troppi telefilm alla tv e di certo a casa c’era qualcuno in ansia che lo stava aspettando. Alle dodici e dieci della notte sgattaiolava nel buio e in quel momento alla sua stazione radio preferita ascoltavano: Lonesome Dark-Eyed Beauty. “Ad
una solitaria bellezza con gli occhi scuri, su una strada lontana. Mi
sono svegliato tardi da un sogno l’altra notte e volevo dirti… quando ti
senti sola, quando le pareti si rompono intorno a te, quando hai
bisogno di qualcuno che ti aiuti a guarire il dolore dentro il tuo
dolore”. Lei si era girata per andarsene quando aveva capito di che pasta era fatto. Lui l’afferrò da dietro le spalle, ma era come un gesto di preghiera, di supplica, affinché non andasse via. Un tentativo di tenere con sé l’unica persona che avrebbe potuto salvarlo. Erano due strade che si erano incrociate e per un po’ diventate una cosa sola… ma quella maledetta paura li aveva separati. Quella paura di non farcela, di dovere giustificare sempre tutto e tutti, si era trasformata in rabbia e, man mano, in odio. “Stava piovendo fin dall’inizio
ed io ero lì che morivo di sete… così sono entrato e la tua antica
maledizione ferisce… ma quel che è peggio è questo dolore. Non posso
restare qui, è chiaro che proprio non ci riesco”. Riempì il bicchiere fino a tre quarti. La radio a pile sempre accesa sul comodino borbottava un blues di John Lee Hooker. L’avevano visto insieme quel film di Jean-Luc Godard, “Fino All’Ultimo Respiro”, uno dei titoli mitici della Nouvelle Vogue. Gli era sembrato di assomigliare a Michel Poiccard, il protagonista. Un pazzo che per sopravvivere si era tuffato nella notte mescolando realtà e sogni. Una vita che aveva un doppio fondo, di chi vuol vivere senza limiti e si spinge sempre oltre, fino ad azzerarsi. Proprio come era successo a lui. “Lampioni
brillano lungo le strade, un inquietante pomeriggio viola di ladri e di
sbirri che sempre ti fermano e ti chiedono che cosa stai facendo”. Pensavano che fosse stato Facciadiluna a fare quella soffiata alla polizia… l’unico della banda a non essere stato arrestato quella notte al porto. Adesso gli davano la caccia amici e nemici,
tutti insieme… ma da quando quel giorno lei lo aveva lasciato lì da
solo a guardarla andare via, il resto non contava più nulla. Faceva strada con la radio accesa e la musica di Eddie Cochran
a palla. Dopo la curva a gomito guardò la linea bianca di mezzeria.
Abbassò il finestrino ed accese una sigaretta. Nella brezza gentile
sentì l’odore del suo corpo perforargli le narici. Ormai lei era un’ossessione, forse era questo il motivo del suo ritardo ad agire. “I’m
gonna raise a fuss, I’m gonna raise a holler. About a workin’ all
summer just to try to earn a dollar. Every time I call my baby, and try
to get a date. My boss says, “No dice son, you gotta work late”
Sometimes I wonder what I’m a gonna do. But there ain’t no cure for the
summertime blues”. Sul rettilineo il posto di blocco della polizia era ben visibile. Facciadiluna scrutò il cartello per capire dove si trovasse. Era nuovamente pronto a colpire senza esitazione. Proseguì a rilento fino a che non arrivò a cento metri da loro. Quando gli intimarono di fermarsi afferrò la pistola e, brillando di pioggia, diede gas. Gli agenti non ebbero alcuna esitazione e spararono diverse raffiche di mitra. L’auto sbandò a destra e poi a sinistra per schiantarsi dentro un fosso. I due poliziotti si avvicinarono guardinghi, schiusero la portiera e con le torce illuminarono l’abitacolo. Sul quel volto solo un crespo sorriso.
Bartolo Federico
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