lunedì 31 dicembre 2012

Bollettino Delle Emozioni 4 (Al Bar Da Gino)



Stanno giocando sempre con lo stesso mazzo di carte segnante, e quel professore è un baro. Bisogna dar fuoco alla casa per liberarci una volta per tutte da queste sanguisughe. Parlava come fosse Joe Strummer la zia Amalia mentre spegneva la tele. Era talmente incazzata che temevo le venisse un accidenti. Si leggeva chiaro dentro i suoi piccoli occhi semichiusi dalle cataratte l’odio che nutriva verso quei reazionari del potere.Sbraitando proseguì: sbucano dal teleschermo giocando al “guarda chi si rivede”, non hanno pudore queste facce di merda. Prima si sono mangiati il bue, adesso anche le corna vogliono sgranocchiarsi. Con i suoi seicentocinquanta euro al mese di pensione doveva pagarci l’IMU, è la colpa era quella di possedere un appartamentino nientediche, che i suoi genitori gli avevano lasciato in eredità. Quella casa con il suo lavoro non se la sarebbe mai potuta comprare neanche a vivere due volte. Mica era un boiardo di Stato qualsiasi, infilato senza nessun merito in un posto di rilievo dal suo padrino politico e dalla modesta paga di cinquanta mila euro al mese. Lei si era dovuta sempre arrangiare nella vita insieme al suo defunto marito, un ciabattino, un uomo integerrimo che aveva passione e amore per la sua attività. La zia, per far quadrare il loro magro bilancio economico, cuciva gli orli dei pantaloni e andava a fare le pulizie ad ore. Tutto in nero ovviamente (ma è meglio non farglielo sapere a quel boiardo di Stato, la braccherebbe per evasione fiscale). Insieme allo zio Iano, avevano tirato la carretta con modestia e dignità. “A che pro adesso chiedono a me i sacrifici questi vermi schifosi” concluse sbattendo la porta della cucina, ormai completamente fuori dai gangheri.



Quella domenica mattina mi alzai dal letto cercando di scrollarmi la sbornia della sera precedente Era il mio primo giorno di libertà, per cui mi sparai ad alto volume il cd di Slackeye Slim. El Santo Grial: La Pistola Piadosa. Un disco per bastardi che hanno attraversato l’America rurale imboccando le strade secondarie, quelle più dure e polverose. Musica all’apparenza sghemba e malandata, ma suonata con passione e abilità che sembra fuoriuscire da un grammofono dove un 78 giri magicamente scatarra rockabilly, western swing,  country e blues, che ti fa ruzzolare dentro una saga epica del 1800. Un viaggio duro e brutale nel selvaggio west. Slackeye Slim ha una voce sverniciata dall’alcool (Shan Mac Gowan docet) è un attitudine alla musica che partendo da Hank Williams (a cui assomiglia anche fisicamente) trascina con se tante passioni che vanno da Ennio Morricone a Link Wray al duo Nick Cave-Johnny Cash, finendo come tutti i romantici malinconici nelle braccia del più grande ballader della tarda notte, Tom Waits.



Al bar da Gino, la sera precedente, con Tony il poeta, avevamo discusso e al nostro solito alzato il gomito. Mi aveva raccontato che si era iscritto ad un concorso per nuove promesse letterarie. E da lì che era partita una discussione interminabile sui poeti vecchi e nuovi e su chi secondo noi sapesse scrivere la vera poesia. Citammo Borges, Dylan Thomas, Allen Ginsberg, T.S.Eliot, Salinas, Ungaretti e quel vecchio sporcaccione di Charles Bukowski. Poi, ad un certo punto, Tony, si lanciò in un iperbole ubriaco letteraria su Omero. Lo ascoltai con meraviglia affabularmi dell’Odissea guardandolo con occhi strabici e la testa penzoloni, senza capirci molto di quello che proferiva. Tutta colpa ovviamente di quel vino ambrato fatto in casa che andava giù nelle viscere che era una bellezza. Alla fine concordammo su un punto: i giganti se ne erano andati e non c’era stato nessuno a rimpiazzarli.Anche nel rock era avvenuta quasi la stessa cosa, accidentaccio.Questa mattina però, a mente fredda, mentre mandò giù un caffè lungo e amaro, gli avrei detto che c’è un poeta fortunatamente vivente che regge il passo con chiunque. Il suo nome è Bob Dylan.



Ci vuole un bel bagaglio di fortuna per affrontare la vita e la mia come quella di molti altri è cattiva da tempo. Ma vale sempre la pena provare ad andare avanti per tentare di esplorare quei coni d’ombra che con ci fanno mai vedere il sole. Intanto che  zia Amalia era andata in gita, non so dove con il suo esercito della salvezza, ne approfittai anche  per organizzarmi delle seratine a tema di sesso e rock’n’roll. La pollastrella che mi ero portato a casa l’avevo conosciuta al bar da Gino. avevamo scambiato quattro chiacchiere bevendo del gin tonic che lei mandava giù come fosse acqua minerale è già questo mi piaceva e ci accomunava. Poi, tra una cosa e un’altra era scoccata la scintilla. Un po’ brilli, non  appena fummo fuori dalla porta del bar cominciammo a palpeggiarci nelle parti intime. Salimmo in casa che eravamo eccitati come due ragazzini alle prime armi. Lei era bella soffice e con la lingua ci sapeva fare, altroché se ci sapeva fare. Tra gemiti e sospiri godemmo alla grande. Quella sera venne fuori una scopata coi fiocchi. Ad un tratto però accadde quello che non ti aspetti e che ti fa vedere una persona con altri occhi. “Senti” mi fa la tipa accartocciata tra le lenzuola nel momento in cui i Rolling  Stones ci davano dentro con It’s Only Rock and Roll “non è che per caso possiedi Miracle, di Willy De Ville”. Lì per lì restai sorpreso della richiesta perché non mi era mai capitata una femminuccia che conoscesse il gitano. 



Mi alzai dal letto e dallo scaffale dove tenevo i vinili tirai fuori quel disco uscito nel lontano 1987, dove per la prima volta Willy usa il suo nome al posto di Mink. Un disco anomalo nella sua discografia causa la produzione che Mark Knopfler leader dei Dire Straits gli riserva. De Ville non è per niente contento di quel suono che Mark gli ha confezionato. Perché lo fa assomigliare troppo ad un disco degli Straits  più che a se stesso. Willy è uno tosto che proviene dai bassifondi e i suoi dischi fino a quel momento hanno sempre puzzato di blues e di rock’n’roll anni cinquanta. La faccenda è talmente seria per uno che non prendeva mai sottogamba il suo lavoro e la sua musica che, alla fine del giro, interromperà con Knopfler qualsiasi rapporto umano. Ma le canzoni che scrive per Miracle sono belle fino allo sfinimento. Canzoni che vengono buone quando vi affacciate nei baratri dell’ombra. Canzoni  assassine che si insinuano sottopelle e che riescono  ad arrivare a quei ricordi rintanati nell’oblio per farvi un sopralluogo a raggi X del cuore. Cantate come sempre da una voce unica e inimitabile, una voce che ha cuore e anima e che nessun soul lover ha dimenticato. Il tempo fuori non era un granché. Ci stringemmo tra le lenzuola mentre la melodia di Nightfalls imprigionava la notte. Ed allora le chiesi a bassa voce e con tutta la grazia di cui disponevo: “Come ti chiami baby”. Lei guardandomi per un attimo dritto negli occhi mi rispose altrettanto sommessamente: “Toot, ma credo di avertelo già detto, tesoro”.



La mattina mentre aspettavo l’autobus per andare a lavoro incappai in Rino il pianista, uno che suona l’organo Hammond B3 da Dio. Non appena mi vide fermo sotto la grondaia stampò una frenata che solo per fortuna non causò un incidente a catena e, dietro gli strali degli altri conducenti, saltai velocemente sulla sua macchina. Durante il tragitto, a gengive stirate, mi raccontò che aveva sempre diffidato dei grandi quotidiani come il Corriere Della Sera,La Repubblica, La Stampa, il Giornale (non li cito tutti se no facciamo notte). La loro pseudo informazione, sosteneva, non ha mai toccato i potentati e mai, mai, ripeteva con ossessione, è stata dalla parte dei cittadini. Rispondono solo a quei politici massoni che li sostengono finanziariamente e che fanno parte dei loro consigli d’ amministrazione. Servono per coprire i loro sporchi giochini. Sono organizzati come i mafiosi questi signori attenti a non calpestarsi i piedi a non invadere l’altrui terreno. Alle volte danno l’impressione di alzare un polverone per dare giusto l’idea che loro sono i cani da guardia della libertà d’espressione, di verità e giustizia, ma stanno fingendo, soffiano solo un po’ di fumo sugli occhi dell’opinione pubblica. Il problema è che c’è chi ancora ci crede in questi ciarlatani, dove il più pulito dei loro giornalisti ha la rogna.



Le elezioni sono alle porte continuò e sono tutti in azione a difendere l’indifendibile come hanno sempre fatto. Incominciare a non comprarli più questi giornali da circo equestre, spegnere la tele e non votare più quella gente che proteggono, sarebbe un primo vero atto rivoluzionario di quest’italietta clericale che mai si ribella, sempre accondiscendente con chi la bastona e la depreda. Poi nell’autoradio inserì una casetta (uno degli ultimi nostalgici Rino eh!) di Van Morrison e le note magiche di Redwood Tree ci mandarono in paradiso. Una canzone contenuta in un disco uscito nel 1972, dal titolo Saint Dominic’s Preview, uno di quei dischi dove si sono abbeverati per suonare il loro rock stradaiolo personaggi come Springsteen, Bob Seger, e lo stesso De Ville. Musica che è come una goccia di pioggia che, man mano che scivola sul vetro, traccia nuovi percorsi e poi esitando si biforca e devia ancora, mentre le altre gocce la rincorrono, e infine  si unisce ed esplode in una botta di vita senza limiti, con cui si potrebbe fare il giro del mondo correndo come dei novelli Forrest Gump. Così quella mattina Van Morrison mi cambiò l’umore, che si era fatto nero di rabbia per la discussione aperta da Rino. E per un po’ dimenticai anche gli strani avvenimenti della mia scombinata esistenza.



Tra non molto, come accade ogni fine anno, assisteremo a quella kermesse che è lo scegliere i migliori dischi, i migliori film, i migliori libri, i migliori concerti, i migliori vestiti, le migliori attrici, insomma chi più ne ha più ne metta. Certamente ognuno è libero di  divertirsi come meglio crede. A me non è mai piaciuto parteciparvi perché non sono mai riuscito a catalogare le mie emozioni, e quando ho provato a farlo me ne sono subito pentito. Ma se proprio ci tenete a saperlo, visto che sono in tema di confidenze e ancora un po’ alticcio, vi dirò che i migliori sono tutti quelli che stanno lottando senza tutele per un posto di lavoro, e sono in tanti, tantissimi. Gli esodati, i minatori del Sulcis e tutti quelli che come loro hanno tenuto la schiena dritta, succeda quel che succeda. Gli imprenditori che si sono uccisi perché questo Stato sordo e muto è bravo solo a ramazzarti e a pretendere. Uomini dalla troppa dignità per sentirsi umiliati, vilipesi e svergognati da chi invece li doveva con ogni mezzo sorreggere. Gli abitanti dell’Aquila che resistono e dell’Emilia che si sono prontamente rialzati e quelli di Taranto che invece subiscono. E chi non voterà la balena bianca. Un pensierino ai peggiori. Quelli che scendono, salgono, e si posteggiano per sempre in politica evocando l’alto senso civico del loro gesto. Un sonoro vaffanculo a tutti loro.



Con il web in questi ultimi anni ho avuto modo di ascoltare molta musica che prima mi sarei solo sognato. Ma mi rendo conto che è anche troppa e alle volte ci perdo pure quel gusto che la ricerca di accaparrarmi un disco mi infondeva. Allora, quando ne venivo in possesso lo sorseggiavo come se fosse stato un bicchiere di bourbon e l’ascolto durava mesi, alle volte anni. Adesso è tutto più veloce si consuma nel giro di qualche giorno e si dimentica in fretta. Ma è anche vero che il web dopo i Clash è l’unica vera rivoluzione che abbiamo vissuto. Ci ha aperto mille possibilità come quella di farci un blog e di scrivere di noi. Che in un informazione ovattata come quella che abbiamo non è poca cosa. Oggi di dischi se ne vendono sempre meno e comunque il download gli ha dato il colpo di grazia. Ma con quello che costano se tieni famiglia e un lavoro malamente retribuito a conti fatti non ti puoi permettere l’acquisto neppure di un cd (che comunque per il sottoscritto, resta un supporto orribile). Qualcuno dirà che anche un tempo l’acquisto dei dischi era caro e salato ed era relegato per lo più a chi era benestante e colui che non poteva comprarsi i dischi si faceva registrare le musicassette da un amico. Quindi, alla fine dei conti, è la stessa cosa che scaricare gratuitamente quello che bramiamo. 



Vero anche questo. Ma sapete come vanno certe cose, sarà che il tempo passa e quello passato ci sembra sempre migliore, anche quando forse non lo è stato per niente. Non posso non pensare a quando, con quei soldi che riuscivo in qualche modo a racimolare, passato quasi un mese dall’ordine mi arrivava il pacco postale contenente i vinili desiderati. C’era trepidazione in me nel toccare quelle copertine, e sentire anche solo l’odore del cartone era inebriante. Con gli occhi sbarrati dallo stupore,  poggiavo sul piatto quei dischi come fossero una reliquia. Perché quello che avevo appena aperto era  davvero come un forziere dei pirati, non sapendo mai fino in fondo cosa mi aspettasse di ascoltare. Ma questi sono solo ricordi, nostalgie brucianti, considerazioni di un vecchio rocker, che il tempo ha fatto fuori irrimediabilmente e che citando Bruce, ha imparato molto di più dai quei dischi che dai libri di scuola (o  da professori arroganti in loden blu).



Stavo ascoltando a tutto volume Carmagnola #3, un brano scritto da Giorgio Canali e i Rossofuoco e cantavo rabbioso insieme a lui: ma non se ne va con i "per favore"non se ne va chi ha troppo da lasciare non se ne va, con le buone Simon dice: "rivoluzione!" quando il citofono iniziò ripetutamente e nervosamente a suonare tanto che pensai che la zia Amalia fosse già di ritorno dalla sua gita. Spensi in tutta fretta  lo stereo e andai a rispondere. Con la sua vocina leggera che sembra che ti prenda per il culo mi rispose il poeta: che aspetti ad aprirmi sta venendo giù il cielo. girai lo sguardo fuori dalla finestra ed effettivamente la pioggia scendeva copiosa. Non ci avevo fatto caso, preso com’ero dalla musica. Entrò in casa spavaldo con una bottiglia del nostro vecchio amico Jack Daniels in mano, riportandomi un cd che gli avevo prestato e che finalmente dopo tempo immemore ritornava all’ovile. Ci versammo da bere e subito  prese a recitarmi quella poesia che aveva scelto per il concorso letterario. L’intensità che promulgò mi fece rivedere in lui il Robin Williams del film l’Attimo Fuggente.  



In una stanza senza armadi c’è un tavolo senza cassetti, una sedia e un appendiabito vuoto, una torcia elettrica e una bottiglia di whiskey, mozziconi di sigaretta, una chitarra acustica e un armonica in tonalità di mi maggiore. Un pacco di dischi, dei libri, e una lettera d’amore. Alle volte succede che sono le canzoni che cantano gli uomini e le loro gesta e non viceversa. In Public Domain, un disco pubblicato da Dave Alvin nell’anno 2000, accadde proprio questo. Canzoni con radici nel “sentiero delle lacrime”, che come spiriti hanno viaggiato nelle polvere del tempo e di porta in porta, di bocca in bocca, si sono depositate nel cuore delle persone, ritornarono vestite di tutto punto per il ballo della festa, lucidate e rimesse a nuovo pronte nuovamente a risplendere di una nuova luce. Canzoni che sono un patrimonio dell’umanità. Che fanno parte di tutti noi e che per questo vanno difese e celebrate. Canzoni alle volte anche ingenue suonate su tre semplici accordi, quegli stessi accordi sempre uguali, che hanno fatto poi grande il rock’n’roll. Che sono passate tra le dita e il grande cuore di Woody Gutrie, Doc Watson, Tommy Johnson, Johnny Cash, Bob Dylan, Carter Family, Blind Willie Mc Tell solo per citarne alcuni. Canzoni che parlano di ferrovie, vendette, omicidi, di cuori impavidi, inseguimenti e gelosie, di speranza e sopravvivenza. Di persone lasciate sole. Di te e di me.



Tony si era addormentato accovacciandosi sul divano. Erano quasi le quattro del mattino e la pioggia continuava a cadere. Non gli avevo raccontato che ero rimasto stregato da Toot e neanche che ero stato licenziato dalla ditta di pulizie dove lavoravo. La signora Elvira, finita la giornata, con le lacrime agli occhi mi aveva chiamato e dato la paga. Poi abbracciandomi mi spiegò che aveva tenuto duro finché le era stato possibile, ma questa crisi feroce e inutile l’aveva sovrastata. Non possedeva più i soldi per andare avanti e la banca gli aveva revocato il fido e chiuso il conto. Ancora una volta tutto quello che toccavo era andato in malora. Mentre aspettavo l’alba di un nuovo giorno provai una stretta al cuore e pensai a mio padre e a Sal, alle loro anime, e cercai coraggio. Nonostante tutto continuai a scrivere, fumando e bevendo troppo. Ma questo voi lo sapete già. Buon Anno a tutti.



Bartolo Federico




venerdì 21 dicembre 2012

Dove Cadono Le Lacrime

Secchiate di malinconia gli caddero addosso. Rivide lei, colma di odio e con il diavolo nel cuore strepitargli che era un coglione, un bastardo, una merda rinsecchita. Fermo sotto un cartello stradale con quella faccia da tenebre e nebbia che si ritrovava, fece una risata rauca.  Le aveva replicato questo è ciò che mi hanno fatto diventare, bambina, non averne a male. E glielo disse con una voce metallica, puntando dritto dentro i suoi occhi freddi. Poi, lentamente, girò lo sguardo intorno e con garbo si  aggiustò il cappello. E si sentì andare in pezzi. Si avviò arrancando lungo la strada fosca. Dal taschino della giacca prese il pacchetto nuovo di sigarette e scartandolo si rese conto di avere il cervello come appannato da cumuli di polvere. Le lacrime gli sfondarono le palpebre e attese che il suo cuore si calmasse. La pioggia continuava a cadere diritto sulla sua testa, incurante di tutto. Come la sorte. Lontano dove il vento leggero soffia, lontano da tutto, c'è il posto dove vai dove cadono le lacrime. Lontano nella notte tempestosa, lontano ed oltre il muro, sei là in una luce lampeggiante dove cadono le lacrime. (Where Teardrops Fall - Bob Dylan)


Con il passare del tempo le cose si mischiano un po’. Così quelle certezze che ti sei cullato lasciano posto ai dubbi, alle indecisioni, alla paura. Camminava piano costeggiando il muro delle case, senza fare rumore, come se stesse aspettano qualcuno. La pioggia, fredda zampillando sul corrimano di un balcone, gli schizzò sul viso facendogli increspare la pelle. Trattenne il respiro e sentì il suo cuore cigolare nel buio. Doveva riorganizzarsi, ma così su due piedi non era facile. Non era per niente semplice mettere in fila gli eventi e farsene una ragione. Si sentiva strano, come sperduto nel guazzabuglio di se stesso. Certo, c’erano alcune cose da recuperare e altre da buttare, ma doveva farlo alla svelta prima che queste s’infilassero tutte insieme in quella strettoia buia dell’anima. Correva il rischio di vederle sbucare dall’ombra, tenendosi strette strette l’una con l’altra. Allora sarebbe stata davvero la fine. Bottiglie spaccate, vassoi spaccati, interruttori spaccati, cancelli spaccati, piatti spaccati, oggetti spezzati, le strade sono piene di cuori spezzati, parole spezzate che non si sarebbe mai voluto pronunciare, tutto e' spezzato. (Everthing Is Broken-Bob Dylan). 


Lungo la via un umanità di derelitti soggiornava pacifica. Gente che si lamentava con se stessa, imprecando al cielo. Tanto, nessuno gli avrebbe mai prestato attenzione. Neanche lui. Il camion della nettezza urbana stava raccogliendo la spazzatura. Il conducente, stiracchiandosi sul sedile, fumava tirando lunghe boccate e scomparendo dietro una strato di nebbia azzurra. Gli altri operatori, intenti a raccattare i sacchetti sparpagliati in mezzo alla strada, scherzavano tra di loro, ridendo così forte da fare un baccano inaudito. Li osservò al riparo di un muro. Il suo lavoro lo aveva portato tante volte a rovistare nel pattume e, suo malgrado, vi era scivolato dentro. Ma fin quando gli era stato possibile aveva tenuto duro. Poi era bastato un istante, un nonnulla, e tutto era precipitato, trasformandogli qualsiasi cosa in raccapriccio. Quello che non si spiegava è che era accaduto per cose che alla fine potevano essere anche irrilevanti. Abbiamo battuto sul tamburo lentamente e suonato il piffero sommessamente, tu conosci la canzone nel mio cuore. Nel volgere del tramonto fra le ombre della luce lunare puoi mostrarmi un nuovo posto per cominciare. (Where Teardrops Fall - Bob Dylan) 


Ci prendiamo gusto a sfidare la vita a dichiararle guerra. Ma la partita è persa, questo sia chiaro. Il cielo si era capovolto sulla sua testa ma, nonostante ciò, i colori del passato gli tornavano in mente nitidi, insieme a quelle storie che sua nonna gli raccontava prima che lui andasse a dormire. Non le sue brutte storie, no, quelle non aveva il coraggio di raccontarle neanche a se stesso. E sentì nell’aria nuovamente forte quella puzza di sangue e merda. Il giorno stava sorgendo sulla città. Si accese una sigaretta ma lasciò che si  bruciasse tra le dita. Da un balcone aperto  il crepitio di una radio lo scosse. Viviamo in un mondo politico la saggezza e' sbattuta in prigione marcisce in una cella e viene fuorviata come dal diavolo senza lasciare nessuno che ne segua le orme. Viviamo in un mondo politico dove la pietà cammina sull'asse la vita e' negli specchi, la morte scompare sui gradini della banca più vicina (Political World-Bob Dylan).


Nei momenti in cui il nostro egoismo ci lascia andare, i ricordi diventano autentici e allora ripensiamo a quelle donne che ci hanno amato almeno un po’. In un bar fece colazione con brioche e un cappuccino cremoso. Un poliziotto in divisa entrò e si mise vicino a lui ordinando un caffè ristretto. I loro sguardi s’incrociarono, ma solo per un attimo, attraverso lo specchio che avevano di fronte al bancone. Dopo lo sbirro se ne andò. Da quando era tornato in città la pioggia non aveva smesso di cadere. Uscì dal bar e riprese a camminare lento dando le spalle al marciapiede. Si fermò guardandosi nella vetrina di un negozio. Rimase lì, assorto per qualche minuto, poi riprese a camminare. Un antifurto suonò forte. Il suo passato gli tornava a sprazzi dall’abisso più profondo per annientarlo con le sue lingue di fuoco. Lei era uscita dalla sua vita definitivamente, pensò osservando la sua mano ossuta. C'era qualcuno che ci guardava quando mi hai dato quel bacio? Qualcuno là nell'ombra, qualcuno che potrei non aver visto? C'è qualcosa di cui hai bisogno, qualcosa che non capisco? Che cos'era che volevi? E' qui nella mia mano? (What Was It You Wanted-Bob Dylan). 


Alla fine, dove vogliamo arrivare nessuno di noi lo sa. Era giovane, quel poliziotto, di quelli palestrati e baldanzosi. Portava una giacca di pelle nera e un cappello di lana di colore grigio. Lo aveva fermato non appena era uscito dalla villetta e stava salendo sull’auto. Lo agguantò dal polso, stringendolo con brutalità. Senza dire nulla gli fece appoggiare i palmi delle mani sulla macchina,  obbligandolo ad allargare le caviglie con dei duri colpi al tallone. Mentre terminava questa operazione lo chiamò per nome due volte, ma lui non rispose. Con un gesto fulmineo l’agente gli mise le manette ai polsi intanto che un gruppo di altri cinque sei sbirri sbucati dal nulla arrivavano correndo. Una Mercedes bianca sgommando si accostò al marciapiede. Adesso lo tenevano fermo in due ma lui non si dimenava. Conosceva le regole e non fece nulla che potesse innervosirli.  Lo spinsero con forza verso l’auto e, in quattro e quattr’otto, lo caricarono sui sedili posteriori coprendogli la testa con un cappuccio. Il predicatore stava parlando, stava facendo un sermone disse che la coscienza umana è vile e depravata, non puoi contare su questo per farti guidare quando sei tu che devi soddisfare tutto questo. Non e' facile da mandare giù, ti si ferma in gola. Lei ha dato il suo cuore all'uomo dal lungo cappotto nero.(Man In The Long Black Coat- Bob Dylan)


Attraversò il corridoio buio e spostò una tapparella per fare entrare uno spicchio di luce. Passò dalla camera da letto, dove c’era ancora appesa al muro la loro foto, e si tolse la giacca. L’odore di chiuso e alcool faceva venire il vomito, ma era come se non la sentisse più quella puzza di marcio. Aveva sempre cercato di uscire dalle menzogne, dalle umiliazioni, voleva fare a tutti i costi una buona impressione alla gente, voleva stare al passo dei ricchi. Ma quando non sei abituato come loro a mentire la faccenda si complica. Mise sul piatto del giradischi Gravity Talks dei Green On Red, un 33 giri pieno di rughe e ferite e si versò da bere. Amava quel disco uscito nel 1983, amava quell’organo febbrile e irrequieto suonato da Chris Cacavas, il Roy Bittan dei poveri e le canzoni di Dan Stuart. Quelle canzoni cantate con una voce irriverente, svogliata, ma anche profonda e lirica, aprivano un varco nella sua anima nera. Un disco ricco di influenze importanti, dai Doors ai Velvet Underground a Bob Dylan. Un disco che gli ricordava chi era stato, e cosa aveva amato. A che servo sia per gli altri che per me stesso se ho avuto tutte le possibilità e ancora non riesco a vedere se le mie mani sono legate, non dovrei domandarmi chi le ha legate e perché. ed io dov'ero. A che servo se dico cose banali e rido in faccia a quello che il dolore porta e giro le spalle mentre tu muori in silenzio, a che servo? (What Good Am I? – Bob Dylan)


Anni dopo lo aveva conosciuto Dan Stuart. Era successo d’estate, quando le giornate si allungano e la strada è inondata dal sole. Di solito non usciva mai, ma quella volta il richiamo fu davvero forte. Si esibiva in concerto insieme a Steve Wynn dei Dream Syndicate sotto la sigla di Danny&Dusty. Due bambini smarriti, due spiriti ribelli con in una mano una bottiglia di whisky e nell’altra una Fender. Non andare a vedere quelli che lui considerava gli ultimi romantici del rock’n’roll  sarebbe stato un delitto. Un vero weekend di rock perduto. Mama, metti le mie pistole per terra non posso più sparare quella lunga nuvola nera sta scendendo mi sembra di bussare alle porte del cielo (Knockin’On Heaven’s Door-Bob Dylan). Subito prese posto in prima fila e dopo, quando ebbe inizio lo show, si posizionò lateralmente vicino all’organo dove un ispirato Cacavas dirigeva la band. Cantò le loro canzoni con passione e trasporto facendo il coro insieme a Chris che gli sorrideva dal palco. La luna era alta e il cielo era pieno di stelle. Quella sera si sentì leggero. Suona quelle campane per il cieco e il sordo, suona quelle campane per quelli di noi che sono abbandonati, suona quelle campane per i pochi eletti che giudicheranno i molti quando il gioco volgerà al termine. Suona quelle campane per il tempo che vola, per il bimbo che piange quando l'innocenza muore (Ring Them  Bells - Bob Dylan)  


Il telefono squillò per terra, nell’ombra ,una volta soltanto. Alzò il ricevitore e si sedette sulla seggiola.Con le labbra incollate alla cornetta disse: Si!... Ciao, sono Wilma. Buon Natale.  Ho visto una stella cadente stanotte e ho pensato a te. Cercavi di entrare in un altro mondo un mondo che non ho mai conosciuto. Mi sono sempre domandato se tu ce l'abbia fatta. Ho visto una stella cadente stanotte e ho pensato a te. (Shooting Star-Bob Dylan)


Bartolo Federico