Quando nei primi anni
ottanta fui ingaggiato in una radio libera, ero solo un ragazzo ingenuo e
sognatore, cresciuto in un quartiere di periferia ai margini della città. Quell’occasione di
poter trasportare altri nel mio volo sotto le stelle del rock, mi galvanizzò. Andavo in onda due
volte la settimana, dalle ore ventidue alla mezzanotte. Il nome del programma
lo rubai a Donal Fagen e al suo disco Nightfly.
La copertina era bellissima con quel dj che sembrava Marlowe, anche
se il contenuto sonoro non faceva troppo al caso mio. Dopo qualche
tempo quel nome lo tramutai in Nightlights un
disco di Elliott Murphy. Mi fece da sigla Roman Gods dei Fleshtones, un
brano tratto dal loro omonimo esordio discografico. La prima trasmissione la dedicai
a Ian Hunter e al suo doppio live Welcome To The Club.
Era con quella musica che fuggivo dalla mia mediocrità in cerca di qualcosa
che mi cambiasse la vita, per sempre. Fermo in mezzo alla strada stregato dagli
occhi della notte, mi sentivo come un fantasma perso in quella giungla di
cemento, con quell’odore di benzina bruciata, che mi sfondava i buchi del naso.
C’erano uomini con occhi da pazzi, figli di puttana, criminali, e molestatori.
Ma anche sognatori e vagabondi. Alle volte dietro i bidoni della spazzatura
potevi sentire il click di una rivoltella, che ti faceva gelare il sangue.
Vedevo il mio riflesso nelle ombre che si allungavano sul marciapiede. Con le
mani alzate al cielo, percorrevo la mia strada solitaria. Il duo Ian Hunter,
Mick Ronson, aveva pubblicato nel 1979 You’re Never Alone With
A Schizophrenic, un disco che era stato acclamato dalla critica e dal
pubblico, ancora oggi considerato tra i suoi lavori migliori. Il banco di prova
per quelle canzoni fu il tour che scaturì da quell’inaspettato
successo. Welcome To The Club fu registrato al Roxy di
Los Angeles nello stesso anno, e mostra come non si è mai soli a stare con
uno schizofrenico. Quando tutti dormono, lo sappiamo, è triste è brutto. Allora ci
s’infila la giacca di pelle è il rock comincia a
suonare, potente e vigoroso. È una festa questo
disco che ti scaraventa nella notte, inciuchito e felice. Come dev’essere
sempre il rock quando è schietto, è sincero. Poi
arrivano anche quelle grandi ballate alla Blonde on Blonde che
traboccano di emozione, e ti si annebbiano gli occhi. Vince sempre
chi ti fa tremare le gambe e il cuore. Ecco tutto.
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