Dion se ne stava nudo, seduto sulla poltrona vicino la finestra
e completamente imbottito di droga. La camera era buia e anche le strade del
sobborgo erano tetre e silenziose. Aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre
scrutava fuori. Doveva essere onesto con se stesso per uscire da quella
situazione in cui si era cacciato, ma al momento non c’erano vie di fuga. Un
piccolo rumore lo fece trasalire. Si grattò il viso e guardò a terra. Dopo gli spaventi
della notte, provocati da quei strani sogni, la mattina seguente fece una gran fatica
ad uscire dal letto, ma si strascicò lo stesso nella piccola cucina e quì si preparò
una tazza di caffè italiano, appoggiandosi con le spalle alla parete per
tenersi in piedi. Era veramente preoccupato per come si erano messe le cose. Si
sedette e con le braccia appoggiate sul tavolino si resse il mento, e nel
silenzio si concesse anche un breve pianto. La sua testa era un ingorgo di
paranoie e ansie e, senza volerlo, ripensò a quell’incontro con quel prete, che
lo aveva turbato. Si fece una doccia e indossò degli abiti puliti. Prima di
uscire di casa suonò con l’acustica due vecchi blues “Devil Got My Woman” e “Preachin’
Blues”. Era quasi mezzogiorno quando gironzolando per il quartiere a luci
rosse salutò Melania, una ragazza dai capelli color miele. Incrociò anche altre
donne che conosceva, persone dagli sguardi tristi, avidi, allibiti, attoniti. Girò
l’angolo e un uomo che teneva in spalla un grosso stereo con i piedi immersi in una pozzanghera di
fanghiglia, sparava musica rock con il volume a palla. Dion amava l’America e
quelle strade che erano il luogo dove era cresciuto, anche se c’era puzza di piscio,
merda e ali di pollo fritte. Ad un tratto, qualcuno gli lanciò un petardo tra i
piedi che lo spaventò quasi fino a
fargli scoppiare il cuore. Mezzo isolato più avanti nel locale di Nick Gentile,
un suo amico siciliano, si sedette e bevve una birra. Da dietro il vetro della
cucina il cuoco lo scorse e gli mandò un piatto di polpo bollito, condito con
olio, pepe e limone, perché sapeva che gli piaceva. Ma lui lo toccò a malapena.
Guardò fuori oltre la soglia le strade della discriminazione. Doveva in ogni
modo trovare il rispetto per se stesso, si ripeté scendendo lungo il
marciapiede.
Each time I jumped behind
the wheel of a pin-striped custom Oldsmobile. The guys would bow and the girls
would squeal. King of the New York streets. Local bullies i deflated. Back
street jive that i translated. Top ten girls were all that I dated. King of the
New York streets. I didn't need no bodyguard. I just ruled from my backyard.
Living fast, living hard. King of the New York streets. Well, I was wise in my
own eyes. I awoke one day and I realized. You know this attitude comes from
cocaine lies. (Dion - King Of The New
York Streets)
Dion
DiMucci era nato nel
quartiere del Bronx in una famiglia italo-americana. Da piccolo accompagnava il
padre per i teatri, un cantante di vaudeville, di quelle commedie leggere in
cui alla prosa vengono alternate strofe cantate. Era giovane ed amava
divertirsi, anche se doveva tenere a bada il suo atteggiamento da bullo, che
tante volte lo aveva messo nei casini. Quando ascoltò il country di Hank Williams e il blues del Delta, il
suo cuore prese a battere forte, perché
quella musica era un sogno attraverso cui finalmente guardare il mondo. Dion And The Belmonts erano formati da: Angelo
De Leo, Fred Milano e Carlo Mastrangelo, tutti giovani
bianchi italo americani, suoi comuni amici.
Il nome lo presero da una via del Bronx, e divennero famosissimi negli anni cinquanta infilando un successo
dietro l’altro: “I Wonder Why”, “Teenager In Love”, “Where Or When”, “When You Wish Upon A Star”, “No–One
Knows”, ballate rock melodiche, vocalmente elaborate, che vendettero
all’epoca ben sette milioni di dischi.
La casa era buia,
tirò la tapparelle della finestra e gli scarafaggi corsero nell’angolo. Accese
la radio. Ora
devi andartene, prendi quello che ti serve
quello che pensi possa durare Ma qualsiasi cosa tu decida di conservare, faresti meglio
ad afferrarlo in fretta Ecco laggiù il tuo
orfano con il fucile che piange come un fuoco
nel sole I santi stanno arrivando ed è tutto finito ora, bambina triste. (It’s All Over Now, Baby Blue- Bob
Dylan). Sul suo viso si formò una strana
smorfia.
Non ci vuole molto a costruirsi un
inferno. Era andato a comprarsi una dose ma il il pusher era stato ammazzato
sotto i suoi occhi. Era scappato via terrorizzato e adesso il suo cuore batteva
all’impazzata, tanto che non riusciva neanche a parlare per lo spavento. Quello
che desiderava era solo allontanarsi da lì, prima che giungesse la polizia. Una
tipa che aspettava l’autobus si accese una sigaretta, nello stesso momento che una
vecchia e malandata Buick, guidata da un nero corpulento, gli passò vicino
quasi sfiorandolo. Aveva il gelo addosso. Alle quattro del pomeriggio l’autobus
arrivò alla fermata, gocciolante di pioggia.
Nel 1959 Dion e i suoi Belmonts
rischiarono di salire sull’aereo che, schiantato al suolo, causò la morte di Buddy Holly, Big Bopper e Richie Valens.
Si salvarono solo perché, non potendo permettersi la somma da pagare,
proseguirono in pullman il loro viaggio. Dopo aver sciolto i Belmonts nel 1960,
Dion intraprese la carriera solista,
raggiungendo un successo ancora maggiore con brani come ”Runaround Sue” ”The Wanderer”
e ”Love Came To Me” che dimostarono
che il successo avuto era dovuto alla sua bellissima e personalissima voce. Non
andava da nessuna parte, lui, senza la musica. “Oh Baby Please Don’t Go Down To
New Orleans You know I love You So. Before I Be Your Dog I Get You Way'd Out Here, And Let
You Walk Alone”. La città era inondata di fango per la pioggia
torrenziale che si era abbattuta in quei giorni. Camminava di fretta, mettendo
i piedi nelle pozzanghere, ma era stanco e voleva trovare un rifugio in cui
nascondersi.
Entrò in chiesa e prese posto in una
panca in fondo alla basilica, appena in tempo per assistere al finale della
funzione. Pregò per se stesso e questo lo rincuorò un poco, ma non gli tolse di
dosso quella tristezza che lo aveva preso in custodia. Don Angelo si avvicinò e
gli strinse la mano senza lasciarla andare. Lo guardò fisso negli occhi e notò
la sua espressione afflitta e gli diede un buffetto gentile sulla guancia, ma
non fu un gesto di semplice cortesia. Dion lo percepì. Non sapeva come
comportarsi, non era mai stato in chiesa né tantomeno a colloquio con un prete.
Ma quel sorriso che aveva di fronte gli riempì il cuore di una serenità sconvolgente.
I Beatles inclusero Dion nella
copertina del loro album “Sgt. Pepper’s
Lonely Hearts”. Una luce accecante lo svegliò, era quella del lampadario
che aveva dimenticato acceso. La pioggia aveva smesso di cadere. Rimase
sdraiato ancora un po’, poi si alzò. In cucina si versò un bicchiere d’acqua e
si sedette al tavolo, aspettando che il caffè uscisse. Gli dolevano il collo e
anche le spalle per la tensione che aveva accumulato, e si scrollò come per
rimuovere quel peso dal suo corpo. La droga gli aveva rubato la luce dal suo
cuore, ed era in preda alla paranoia che lo portava al pianto, alla veglia, dentro
pensieri terribili. Era un silenzio interiore difficile da reggere per
chiunque. Aveva bisogno di parole di speranza per potercela fare a scampare da
quell’inferno. Forse era un po’ matto. Ma chi non lo è? Nel 1968 Dion prese a
suonare folk-rock e scrisse canzoni in collaborazione con Tony Fasce. Nello stesso anno la sua casa discografica gli impose di
cantare “Abraham,
Martin and John”, una canzone scritta da Dick Holler in memoria di Martin
Luther King. Il brano ottenne il disco d’oro ed il quarto posto nelle
classifiche di vendita. Il pezzo è contenuto nell’album “Dion”, che è
uscito sempre in quell’anno e dove si possono ascoltare cover di brani di
Leonard Cohen, Fred Neil, Joni Mitchell, Lightnin’ Hopkins, e Jimi
Hendrix.
Le cose di sempre si possono vedere
anche in maniera diversa, basta avere nuovi orizzonti ed una fede che ti
sorregge. Dion aveva trovato consolazione in Cristo e nella sua misericordia.
Noi uomini con le nostre debolezze alle volte siamo come Giuda, altre volte come
il ladrone. Ci smarriamo nei nostri labirinti, andando incontro ai nostri
demoni dai quali rischiamo di non tornare più indietro. Ma questa volta la
carità di Gesù’ gli aveva teso la mano, ricordandogli chi era davvero e perché era
al mondo. Sentì un formicolio alle mani e gli occhi che gli bruciavano. Qualche
volta non ci si accorge di cadere, se non quando si è a faccia in giù. Nel 1975,
in cerca di rilancio, pubblica “Born To
Be With You”, un disco prodotto da Phil
Spector. Un album introspettivo di un uomo che è avanzato nella sua anima,
piena zeppa di infermità, afflitta da scelleratezze che ha compiuto e che
ancora lo continuano a terrorizzare. Pazzi, vagabondi, eroi, cicatrici sul
corpo che non vanno via. Imbroglioni, spie, e gente senza identità. Il juke box
attaccò la canzone e rivide un’epoca intera sotto i suoi occhi. Rock ‘n’roll, canzoni
pop, doo woop, ragazze tristi e ragazze allegre. Non si può ignorare la musica
che ti martella nell’anima, e tra la folla annusò l’odore dei fiori. Adesso canta
con gli occhi spalancati sul mondo, per dire quanto il mondo lo ha spaventato. “Born To Be With You” resta uno tra i suoi
dischi più belli.
Salì per le scale che c’era odore di
sigaretta, erba e disinfettante. Aprì la
porta d’ingresso di casa e non appena dentro, avvertì dei passi veloci nel
corridoio di sopra e qualcuno gridare. “Che cosa c’è che non va, nelle nostre
vite incasinate?”, si chiese. Prima ti illudono e poi ti sparano su per il buco
del culo. Era una giornata nuvolosa, e si lasciò cadere sulla poltrona ma
questa volta era lucido e vigile. Il suo amico Lou Reed glielo aveva sibilato che quella non era una strada da
percorrere perché era tutto buio in quel sentiero. Si sa come funziona, prima è
la curiosità a spingerti dentro, dopo è solo la stupidità a farti restare. Dion
ha fatto una carriera incredibile con dischi pubblicati da songwriter, che
fanno sbiancare anche i nomi più altisonanti del cantautorato americano, per
quanto sono belli e preziosi. Ma lo sappiamo che il mondo è sempre ingiusto con
i buoni, anche se questo non ci basta a giustificarne le ragioni. Dion finì in
fretta la birra. L’inquieta band lo aspettava sul palco, sapeva che, una volta
che lui fosse andato su, lo spettacolo sarebbe esploso. Il basso pulsava frenetico
e il ritmo si fece sempre più incandescente. Si aggiustò il berretto e qualcuno
cominciò a ballare. Quando fu davanti al microfono sentì le orecchie che gli
pulsavano nel cranio, ed ebbe anche le vertigini. Il sassofono srotolò delle
note in un’atmosfera che ormai era diventata magica. Tutto il pubblico era in
piedi e aspettava impaziente che lui cantasse. Li guardò per un lungo istante e
i suoi occhi si trasformarono in quelli di tutti loro. Nemmeno gli angeli,
pensò, potrebbero consolarmi più di così. One,
two, tree, four. La zanzariera inchiodata alla parete copriva la finestra
aperta,e la luce gialla della strada illuminava la stanza. Bevve l’ultima
goccia di whiskey, si accese una sigaretta, e fece ripartire per l’ennesima
volta “(I Used To Be A) Brooklyn Dodger”.
Quando sei a casa finisci sempre per consumare le carte. Seduto da solo davanti alla finestra.