C’è stato un momento
tra il 1973 e il 1978, che il mercato discografico sembrava non facesse altro
che cercare dei nuovi Dylan. Ci sono finiti in tanti in quella "maledizione", perché
essere paragonati a Dylan è stata un aspettativa che alla fine ha portato quasi
sempre al fallimento commerciale. Chiunque a quel tempo stringesse tra le
braccia una chitarra acustica e aveva un pugno di canzoni scritte di proprio pugno,
finiva dentro quella "condanna". Ne sanno qualcosa Elliott Murphy, Phil Ocks, John Prine, Dirk Hamilton, Steve Forbet,
James Talley e tanti altri. Adesso Dylan è solo un vecchietto, per qualcuno anche maleducato e
arrogante, che non fa più tendenza. Pensate a quante inutili polemiche si sono
levate contro la sua nomina al Nobel per la letteratura. Ma in un modo o nell'altro, il mondo non
finisce in Norvegia. Quello che invece è chiaro, che non ci sarà mai un nuovo Dylan.
Anche perché il mercato discografico non lo cerca più uno come lui. Il rock’n’roll ha dispetto di noi vecchi
romantici ancora sulle barricate, è qualcosa che sta al chiuso di qualche sottoscala pieno di polvere e ragnatele. Figuratevi oggi a chi diavolo importi di diventare un folk-singer, squattrinato e solitario. I
ragazzi inseguono altri suoni, hanno altri idoli. Gira in un altro modo il mondo della musica. Si va solo nei talent show per emergere. La strada "maestra di vita" non conta più un cazzo,
la gavetta non si fa più sui palchi scalcagnati di periferia. Tutti vogliono diventare delle
star e viaggiare in prima classe. La tivù offre questo sogno effimero, questo salto nel
vuoto. L’apparire più della sostanza. Ma come al solito ci sono le eccezioni
che rimettono tutto in discussione. John Calvin Abney con il suo “Far Cries and Close
Calls” mi ha spiazzato sin dalla prima canzone quando con una voce nasale
e sporca di polvere, si è messo a cantare il suo amore per il rock’n’roll. Mi ha
preso con se e mi ha portato tra quelle strade dove sono stato un mucchio di
altre volte, in quei luoghi consumati dal tempo e dalla nostalgia, e lo ha
fatto con un piglio fresco e genuino, sincero e onesto. E allora la sua
solitudine è diventata anche la mia. Sono un mazzo di canzoni che vale
la pena ascoltare e consumare, fino alla nausea. Certo John Calvin Abney non è il nuovo Dylan, ma
ci somiglia accidenti a lui, se ci somiglia. Perché volenti o nolenti si resta soli
nella nebbia, e l’unica luce che abbaglia sono queste piccole stelle nel cielo.
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