L’aria sapeva di temporale. Camminavo di sbieco con le mani nel soprabito, attraversando la notte. Guardai l’orologio. Erano le due passate da un quarto. Il cuore mi batteva come fosse un motore ingolfato e gorgogliava nostalgie brucianti.
In qualche modo, ognuno di noi si porta appresso le proprie menzogne,
riflettei, senza le quali è impossibile tirare avanti… ma bisogna saper
mentire, e non tutti sono in grado di farlo. Matilda
non c’era mai riuscita. Lo compresi subito, dalla prima sera che uscimmo
insieme. I suoi occhi erano di un azzurro cielo, che ci si poteva
specchiare. Occhi troppo puliti per avere imparato a dire bugie. Accesi una sigaretta di controvoglia, tirai una boccata e la gettai via. Specchiandomi nella vetrina di un negozio di articoli da regalo, notai che avevo la faccia greve e dolente, la faccia di un blues.
In fondo, le nostre falsità ci fanno sopportare anche quelle degli
altri, seguitai a pensare. E mi sentii come un mucchio d’avanzi, gettati
via dopo il cenone di capodanno. “Cavalieri nella tempesta /
Cavalieri nella tempesta / nati in questa casa / buttati in questo
mondo / come cani senza un osso / come attori senza la parte” (Riders On The Storm – Jim Morrison). Non c’è niente di gratuito in questo mondo, neanche la pietà. Alla fine è sempre la nostalgia che ci permette di restare in piedi,
che ci rapina i sentimenti, che fa scattare quella molla e ci salva
dalla tempesta. Anche quando pensiamo di esserci liberati per sempre da
quella cosa che ci faceva penare, non sappiamo mai se lei ha lasciato
noi. Pioveva sempre. Accidenti. Il vento sferzò la pioggia strizzandola.
A che serviva prendersela con gli altri, è sempre con noi stessi che
dobbiamo fare i conti. Come nodi che vengono al pettine, abbiamo tutti
qualcosa da regolare. Camminavo lento, con la sottile percezione di aver inseguito le cose sbagliate… e quella notte non ebbe fine. Sono sempre stato il miglior nemico di me stesso. Nulla da invidiare a nessuno, per questo. Ho commesso un errore dopo l’altro, ho abbassato la guardia e mi sono fatto fottere dalle circostanze. Erano le quattro e tre quarti della notte. “Quando sei strano i volti vengono fuori dalla pioggia. Quando sei strano nessuno ricorda il tuo nome” (People Are Strange – Jim
Morrison). Attraversai la strada, nel momento esatto in cui un’auto
sfrecciò veloce e mi schizzò del fango sul soprabito. Al market aperto 24 ore su 24, comprai un giornale, latte e biscotti in offerta speciale. Nel distributore automatico presi le sigarette e un accendino. Dovevo smettere di fumare.
Con quello che costavano e con il poco denaro che guadagnavo dovevo
pensare solo ai bisogni primari. A conservarmi. Dopo tutto, non è che
abbia mai avuto grandi pretese, anche quando frequentavo l’altra vita,
quando avevo un lavoro stabile. Adesso, a furia di scagliare colpi alla
cieca, mi sentivo vuoto e senza prospettive. Avevo perso tutte le forze, ero inerte. Ma dovevo pur esistere. Stavo in silenzio, seduto sulla poltrona, ascoltando la pioggia che crepitava sul vetro e “The Boatmnan’s Call” di Nick Cave. Mi assopii. Avevo sempre lavorato come operaio in una fabbrica di profilati d’alluminio, impiegato alla fusione. In quella fabbrica avevo conosciuto Matilda. Il mio amore. Era un addetta alle pulizie. Quando la vidi la prima volta, dentro quella salopette
celeste di una taglia più grande, aveva i capelli raccolti dentro una
cuffia bianca e armeggiava con scope e strofinacci, mi sembrò stupenda.
Come lo era d’altronde. E mi tremarono le gambe, quando mi accorsi che
mi osservava con interesse. “Ora, ti amerò / Finché dal paradiso non pioverà più / ti amerò finché le stelle non sprofonderanno dal ciel o/ Per te e per me”. (Touch me – Jim Morrison). Anna mi svegliò delicatamente, toccandomi la spalla. Possedeva una copia delle chiavi di casa che gli aveva dato Matilda
e che io le avevo lasciato. Tutto era tale e quale a quel giorno in
cui se ne era andata. Anche gli oggetti sui mobili di casa erano nella
stessa posizione di quando c’era lei. Aprii gli occhi mostrandole un
sorriso stinto. “Vieni a mangiare Al – mi borbottò – si fredda tutto”. Era il mio angelo custode.
Poco prima di cedere al sonno, una paura tremenda mi aveva invaso. Poi
la sentii respirare e ascoltai la sua voce, la vidi alzata davanti a me.
Tutto era ritornato… lì in un attimo. “Nella
casa dell’amore / Io conosco il sogno / Di cui vai sognando / Io
conosco la parola / Che spasimi per udire /Io conosco la più profonda e
segreta delle tue paure”. (The Spy – Jim Morrison). Cenammo, ascoltando il notiziario delle 19.30.
Aveva preparato una zuppa di ceci con i crostini di pane e del purè di
patate. Mentre mangiavamo, mi schernì con tenerezza , provando a tenermi
alto il morale. Come avrei fatto senza di lei, mi chiesi, restituendole
un sorriso dolce. Mi aiutava perfino con l’affitto di casa quando non
c’è la facevo a pagare. Tra un boccone e l’altro mi raccontò che avevano arrestato un ragazzo, perché aveva preso una barretta di cioccolata in un supermercato. Il personale lo aveva inseguito e consegnato alla polizia. “Solo serpi che strisciano si comportano in questo modo. Gliela avrei pagata io quella barretta – disse – se
fossi stata lì. E anche adesso, se servisse a qualcosa. Non c’è più
umanità nella gente, siamo l’uno contro l’altro, pronti a scannarci, ad
ammazzarci, per un nonnulla. In un paese dove la cancrena è nello Stato,
dove tutti razziano, dove si commettono crimini terribili, dove
sciacalli internazionali ci succhiano il sangue, dove si spezzano le
vite di milioni di persone, riducendole sul lastrico economico e morale.
In un paese dove nessuno ha mai pagato per le stragi commesse, devi
mandar giù che un ragazzo venga condannato a due anni di carcere per una
simile stupidaggine. Mi chiedo Al, ma che razza di giudici abbiamo, se
non hanno provato nessuna vergogna, ad emettere questa sentenza?. Se non
hanno provato nessun disagio a guardare i loro figli in faccia, la
sera. E’ un paese che merita solo l’indulgenza del disprezzo”
– affermò… e lo disse con rabbia, quasi gridando. Per quanto mi
riguardava, da un bel po’avevo smesso di credere alla giustizia degli
uomini e anche a quella divina. “Questa
e’ la fine / bellissima amica / Questa e’ la fine / Mia unica amica/ la
fine / dei nostri piani elaborati / la fine di ogni cosa stabilita / la
fine / né salvezza o sorpresa / la fine…” (The End. – J Morrison) “Bisogna che vi arrangiate!” ci avevano detto i capi dell’azienda. Le classi dirigenti e i mafiosi usano gli stessi metodi per liquidarti. Sacchi d’immondizia da gettare in qualsiasi momento. Questo eravamo. La nostra vita non contava un cazzo. I loro numeri parlavano chiaro. Era più conveniente spostare la produzione in Cina, dove il lavoro non viene pagato come dovrebbe essere. Dove i più elementari diritti umani vengono calpestati e nessuno fa nulla. Anzi, si fa finta di non vedere. Perché il grasso cola. Quel giorno ci contestarono quasi di esistere. La globalizzazione, il liberismo, la concorrenza, l’euro… di tutto questo ne avremmo tratto solo benefici. Saremmo cresciuti economicamente, diventati competitivi, questo andavano blaterando i politici, nei loro dibattiti televisivi, sorretti da giornalisti ed economisti, pagati per assecondarli. C’era un odore nauseabondo, che mi perforava le narici. Il piano era chiaro, ci volevano rendere ancora più servili, cosi proni ai loro comandi da accettare qualunque decisione avessero preso a riguardo delle nostre vite. Avevano pensato a salvare le banche,
con i loro bilanci fittizi e le loro schifezze perpetrate a scapito di
tutti noi, le uniche responsabili di questo dolore collettivo. Aziende
con un evasione fiscale che avrebbe risanato l’intera economia. Ma dubito che in quelle stanze gli agenti del fisco sarebbero andati a verificare. Piuttosto, lo Stato aveva trovato il modo di raggranellare il denaro per rimpinguargli gratuitamente le casse. Stavano rendendo il lavoro un illusione, un miraggio che, se e quando lo ottenevi, era facilissimo ricattarti. La solita storia dei ricchi contro i poveri, ma questa partita si stava giocando con una crudeltà senza pari. Mai fidarsi degli uomini, è come farsi uccidere. “I
servi hanno il potere / gli uomini cane e le loro meschine donne /
Tirano su povere coperte / I nostri marinai / Sono stanco delle facce
austere / che mi fissano dalla tv / Torre / ci voglio delle rose dentro”. (The Severed Garden – Jim Morrison). Ci sarebbero voluti i poeti al potere.
Forse, gli unici in grado di ridare una nuova anima al mondo.
Nonostante tutto, avevo provato a reagire allo sconforto, mi ero dato da
fare. Finito il periodo di cassa integrazione e di
lotta, per tentare di riprendermi il posto perso, cercai di svolgere
qualsiasi mansione. Accettavo tutto quello che mi si proponeva. Guardiano notturno nei cantieri edili, imbianchino, autista, anche piccoli lavoretti a servizio di chiunque mi pagasse la giornata. Cercavo di andare avanti, al contrario di Matilda, che dopo il licenziamento era precipitata nella notte più nera. Si era distaccata da tutto e da tutti, non riusciva a reagire a quello stato di cose. Era finita per inghiottirsi dentro se stessa,
ogni giorno di più. Il suo fu un viaggio spaventoso nelle tenebre. Mi
versai un whisky e accesi una sigaretta. Il buio si era insediato nella
stanza. Per non restare da solo, cercai il suo disco preferito, “Closing Time” di un giovanissimo Tom Waits, allora scombussolato di romanticismo. La puntina si poggiò frusciando: “Una
ninnananna alla mia piccola, non piangere tesoro. Ci sono gocce di
rugiada sulla finestra, caramelle di gelatina nei tuoi pensieri. Stai
scivolando nel mondo dei sogni mentre reclini, lentamente il capo”. (Midnight Lullaby Tom Waits).
Mi alzai dalla poltrona per prendere il posacenere. Lo feci lentamente,
molto lentamente, per paura che andassi del tutto in frantumi. Mentre il cielo diventava color rame, quella città mi sembrò un posto non peggiore di altri. Entrai in un bar qualsiasi e mi sedetti sullo sgabello vicino al banco. La cameriera
mi accolse con un sorriso opaco e senza quei formalismi del cazzo che
mi mettevano a disagio. La osservai mentre preparava il mio Johnny
Walker etichetta nera. Era bella, ma di quella bellezza artificiale.
Troppo perfetta, per uno come me. Quando mi passò il whisky e si mise a
parlottare del più e del meno, mi sembrò più vera di come mi era apparsa
di primo acchito. Un altro viaggiatore nella notte, rassomigliante a Jena Plissken, prese posto accanto a me. Mi scrutò con occhi vitrei e ordinò un bourbon liscio. “Lo
sai il giorno distrugge la notte. La notte divide il giorno. Ho provato
a correre. Ho provato a nascondermi. Fatti strada verso l’altro lato”. (Break On Through – Jim Morrison) Erano tre anni che non stavo più con una donna. Da quando Matilda
si era ammalata. Da quando diceva che voleva addormentarsi, per non
svegliarsi più. Allora non provai mai a forzarla, e pensandoci adesso,
probabilmente sbagliai. Forse lei non si era sentita più desiderata, ma
io l’amavo con tutto me stesso e avevo solo paura di ferirla, di farle
del male. A volte, non sai mai qual è la cosa giusta da fare.
Uscii dal bar e presi a camminare senza meta per la città. Era solo un
modo per non impazzire del tutto. Non riuscivo a dormire e, per seminare
i miei spettri, vagare nell’ombra era diventato quasi un obbligo. Le
volte che mi capitava di non aver voglia di muovermi, restavo chiuso in
casa. Mi accadeva di chiamarla ad alta voce e continuare a farlo
pensando che lei mi rispondesse… ma i morti non parlano. “Reami
di felicità, reami di luce. Qualcuno è nato per vivere benissimo.
Qualcuno è nato per stare in delizia. Qualcuno è nato per una notte
senza fine..” (The End of the night – J. Morrison).
Quella mattina risvegliatomi, misi sul fornello la macchina del caffè e
aspettai che venisse fuori. Lo versai in due tazze e ancora fumante ne
portai una a Matilda, che sonnecchiava raggomitolata
nel letto. La baciai tra i capelli come facevo sempre, lei scoperchiò le
coperte e mi abbracciò. Fu un abbraccio inconsueto, forte e lungo… ma
solo dopo mi resi conto che non lo aveva mai fatto in passato. “Prima
che tu diventi incosciente. Vorrei un altro bacio Un’altra possibilità
di grande felicità. Un altro bacio, un altro bacio. I giorni sono
luminosi e pieni di dolore. Prendimi nella tua sottile pioggia” (The Crystal Ship – J. Morrison). Anna
mi attese tutto il giorno sotto il portone d’ingresso… e non permise a
nessuno di avvicinarsi e neanche di contattarmi al telefono. Quando mi
vide svoltare l’angolo del palazzo, mi venne incontro. Non ci fu bisogno
che dicesse nulla, lessi tutto in quello sguardo perso nel vuoto, in
quell’abbraccio senza fine che mi diede. Se ne era andata per sempre, ingerendo barbiturici. Così è la vita. E’ così che tutto finisce! Anna aveva suonato alla porta, senza ottenere risposta. Suonò ancora una volta. Niente. Alla fine, apri con la chiave e trovò Matilda
riversa sul letto. Dal controllo che fecero gli inquirenti non risultò
che avesse lasciato alcun biglietto per spiegare il suo gesto. A quel punto la mia guerra era terminata. Perché, finché si lotta, ci si aggrappa alla speranza; dopo si penetra sgomenti dentro al buio. Nel nulla più assoluto. “Yeah, vieni / Quando la musica é finita / Quando la musica é finita, / Spegni le luci / spegni le luci…“ (When The Music’s Over – Jim Morrison). Qualcuno
mi consigliò di lasciare quella casa, ma non l’ascoltai. Era l’unico
modo per sentirla ancora viva, per continuare a parlarle, per seguitare
ad amarla. Il cielo si punteggiò di stelle. Attraversai la notte, prima con passi lenti, poi sempre più spediti. Un viaggiatore solitario si spinge sempre più lontano. Ma fino a dove si può arrivare?
Dove bisogna che si fermi? Nessuno lo sa con precisione. Entrai in casa
che erano quasi le cinque della stessa notte, il giorno dopo. Mentre
ululavo alla luna, nella semioscurità avevo notato due ragazzi che camminavano abbracciati, come Dylan e Susan Rotolo, nella foto di copertina di “The Freewheelin”.
Le era sempre piaciuto quello scatto, sosteneva che noi assomigliassimo
a quei due. Abbassai le palpebre che quasi mi s’incenerirono e mi venne
un capogiro che dovetti appoggiarmi alla parete. Quando mi scollai, il
cuore prese a battermi in maniera inaudita e iniziai a sudare freddo.
Nel chiaroscuro del salottino, strinsi quell’ellepì e mi avvicinai alla
finestra. Scostai la tenda, una bava di luce penetrò. Tirai fuori il disco e un foglietto cadde a terra. Lo raccolsi e, con le mani che mi tremavano, lessi quell’ultimo brandello di vita: “Sei l’essenza di tutti i miei sogni, Al. Ti amo. Come un’altra, voglia Dio, possa amarti. Matilda”. A ricordo di Jim Morrison, Re Lucertola.
Bartolo Federico